IL MATERIALE E L'IMMAGINARIO NELLA CULTURA DEL MARCHESATO CROTONESE

A mio padre

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Mio padre on Flickr.

Uno sguardo che non ammetteva repliche, ma che suppliva anche a inutili discussioni sulle cose da fare… del resto lui era il Capofamiglia e questo voleva ancora dire qualcosa in un mondo fondato sulla rigida osservanza delle gerarchie familiari così come lui le aveva imparate da suo padre… e suo padre da suo padre.
Uno sguardo che diceva molto sulla perdita di tempo che l’arte della fotografia rappresentava in un mondo ancora fondato sui muscoli delle braccia e sulla resistenza ai piegamenti della spina dorsale.
La fotografia era un passatempo dei giorni di festa quando il vestito nuovo riusciva a nascondere la stanchezza di una vita dedicata al lavoro, e i suoni e le luci riuscivano a mascherare le preoccupazioni per il domani che non mancavano mai davanti alla precarietà del futuro.
Uno sguardo che infondeva però sicurezza e che in ogni momento sembrava ripeterti la frase che avresti voluto ascoltare ma che detta con il linguaggio degli occhi assumeva un valore più profondo e rassicurante: “vai avanti… ci sono io vicino… non ti preoccupare… vai… puoi farcela se vuoi!”
Troppa poesia in forma di parole… aiuto concreto se dette con lo sguardo.
Ma il liguaggio degli occhi non si impara a scuola e solo il tempo o gli atteggiamenti conseguenti riuscivano a dirci se avevamo compreso il giusto senso del messaggio.
Ma quell‘“io ci sono” c’era sempre, e sarebbe utile ci fosse sempre, anche oggi, nel mondo della “comunicazione”!