L'Ombrellaru
C’è stato un tempo in cui l’ombrello era un accessorio importante della vita dell’uomo, come il cappello, il manto, e le scarpe. Un accessorio a cui erano richieste solo tre virtù: robustezza, durata, efficienza! Tutto il resto, la bellezza, i colori, l’eleganza, erano fronzoli inutili che la civiltà contadina non riconosceva come necessari. Del resto, il colore era sempre uno solo: nero!
La parità dei sessi era dimostrata dal fatto che fosse unico per tutti, maschi e femmine, e la democrazia era garantita dal fatto che molto spesso ve n’era un solo esemplare disponibile per tutta la famiglia. La sua struttura era quanto di più semplice si fosse potuto inventare: un telo nero, una serie di stecche di ferro di dimensioni diverse, un anello di sscorrimento, alcuni pezzi di ferro acciaioso, e un manico di legno più o meno pregiato. Un attrezzo così povero non richiedeva un mestiere molto specialistico con attrezzature complesse e costose. La magior parte della manutenzione era affidata alle donne che rattoppavano il telo nei punti dove si era bucato e agli uomini quando si trattava di sostituire una stecca corrosa dal tempo e dalle intemperie.
Ma la struttura dell’ombrello era facile da incepparsi all’altezza del collano o anello di scorrimento e le cattive condizioni economiche potevano permettere l’acquisto di un solo ombrello per tutta la famiglia, senza contare la mentalità del tempo di non buttare via nulla o distruggere quello che poteva ancora servire.
A queste esigenze sopperiva l’ombrellaru con le sue basse tariffe di riparazione e la dotazione di pezzi di ricambio. L’ombrellaru girava per il paese a piedi alla ricerca di eventuali clienti intanto bussava alla porta di qualche famiglia o gridava: “E’ arrivatu l’Ombrellaru – L’Ombrellaru passa!”. Si faceva vedere, in periodi ben precisi e cioè prima e durante i periodi delle piogge. Portava con sé un’attrezzatura costituita da pinze, filo di ferro, stecche di ricambi, pezzi di stoffe, aghi, filo, spaghi di vario genere tutto in una cassetta di legno sulla quale sedeva durante il lavoro che non era né facile, né breve. Il prezzo della riparazione non era molto alto e dipendeva dai pezzi di ricambio necessari che non di rado erano riciclati da ombrelli vecchi e non più riparabili che la famiglia aveva messo da parte sopra “U chijancatu”.