Parola d'onori
Tutte le discussioni, i contratti, le compravendite, le affermazioni di verità asserite, i resoconti di attività svolte o viste svolgere, in poche parole, tutti i rapporti tra “uomini”, si concludevano con la frase “Parola d’onori”.
Mi sono accorto molto presto che questa frase non era solo un modo di dire delle persone più grandi, quando per la prima volta mi sono trovato ad esprimermi in questo modo in presenza di mio padre.
– Ricordati che la parola d’onori è tutto per un uomo e non si può dare a cuor leggero, non puoi usarla per cose da nulla, riservala per le cose che contano e soprattutto usala solo quando sei sicuro di poterla mantenere. Mancare alla tua parola significa non avere più credito tra le persone e assumere il ruolo di “bardarellu” nella comunità.
Mio padre ovviamente non si fermò qui e condì il ragionamento con una serie di esempi concreti e di raffronti con alcune persone di nostra conoscenza diretta, o indiretta, che mi fecero passare la voglia di dire spensieratamente le due magiche parole.
Più tardi ho sentito più volte il contraltare della formula: “E’ vinutu menu a ra parola, è nu bardarellu!” Oppure: “Cuami cci l’affidi na figghjia i mamma a nu bardarellu ca u riescia da mantiniri mancu a parola c’ha datu! ” Ed ancora: “ma cchi d’uamu si ca u ssìi capaci mancu i mantiniri a parola c’ha datu, e nnu vva tti ncafuni i na timpa!”
Era il principio di un comportamento ostracistico nei confronti dell’interessato che, se non si traduceva in una inimicizia conclamata, era sicuramente condita di molta freddezza e indifferenza nei rapporti successivi.
In un microcosmo in cui “a cridenza” molto spesso rappresentava l’unica possibilità di sopravvivenza, non mantenere la parola data significava molto spesso la fame per se e, cosa ancora più grave, per l’itera famiglia.
Quanta acqua è passata sotto i ponti da allora; la formula è diventata anacronistica al tempo dei contratti scritti e della comunicazione globale ma, forse, quello che è diventato anacronistico è soprattutto l’onore.