IL MATERIALE E L'IMMAGINARIO NELLA CULTURA DEL MARCHESATO CROTONESE

U Quadararu

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Il lavoro del “quadararu”, come la stragrande maggioranza dei mestieri artigianali, nel passato ha avuto una grande importanza riuscendo a soddisfare tutti quei bisogni di cui una famiglia necessitava.

Se si escludevano quei pochi momenti in cui la sua arte era richiesta per la realizzazione delle opere di raccolta delle acque piovane, molto spesso appannaggio delle case signorili o comunque benestanti, la sua attività principale era relativa alla produzione e riparazione di utensili casalinghi e legati alla produzione e alla conservazione dei prodotti agricoli.

Gli oggetti, oltre che di rame zincata, erano anche di rame rossa come “le pompe” per irrorare i vigneti, i pescheti e altri tipi di frutta,

Il lavoro veniva così svolto: su un foglio di lamiera applicava le forme per ottenere la grandezza del “quadaru” desiderato e con un bulino disegnava i pezzi; poi con una cesoia li ritagliava, li piegava, li modellava, e li saldava. Prima ancora di attaccare il manico, martellava tutto per eliminare quelle forme lisce o lucenti e darle così maggior resistenza.

Piantato a terra un paletto di ferro capovolgeva “u quadaru”” e con colpi precisi e ritmati di martello, gli procurava delle ammaccature, poste in modo circolare, tutte uguali e precise. Ne uscivano “u quadaruni ppi ra vucata” , “a quadara ppi ri frittuli” e la “quadareddra ppi ra frissurata. Dalle loro mani usciva “A Rama”; Tutto l’occorrente per la cucina della casa che faceva bella mostra nel corredo della sposa e sul muro della casa che gli sposi andavano ad addobbare. E allora, le dimensioni dei contenitori, il numero dei pezzi, e il nome dello stagnaro che li aveva costruiti, erano il termine di paragone per distinguere una buona dote da quelle a mala pena arrangiate. Le “frissure” e i “caccami” di varia forma e grandezza, oltre ai contenitori da usare come unità di misura, appesi o appoggiati ai piani alti della piattara, erano il biglietto da visita che le case contadine mostravano agli ospiti.

Ma ai “Quadarari” era anche affidata la riparazione delle pentole, dei tegami, dei secchi che per il troppo uso si bucavano o si rompevano con una certa periodicità. Per i lavori di chiusura saldatura e tamponamento veniva usato lo stagno consumato al minimo perché costava caro e allora lo spreco era inconcepibile.

E, soprattutto negli ultimi tempi, la loro maestria veniva ricercata nella costruzione di recipienti per l’olio, le “giarre”, lucide, a specchio e dalla forma perfettamente cilindrica dove le saldature erano ridotte al minimo per evitare qualsiasi appiglio per la ruggine.

Ma “U Quadararu” realizzava anche le “brocche” “le teglie” adatte per gli arrosti, per i dolci, gli “scarfaliatti” e i “vrasciari”.

L’officina dello stagnino era un buco nero pieno di fuliggine e maleodorante. In essa vi era un tavolo grande, tutto sgangherato dove venivano collocati i vari attrezzi necessari: enormi forbici per tagliare i fogli di lamiera, verghe di stagno, tenaglie, il saldatoio, e in un recipiente, che era tenuto nascosto, teneva poi l’acido che serviva per la pulitura dei vari oggetti. Vicino al tavolo c’era la forgia, piccolo fornello nel quale si scaldava il saldatoio, pieno di carbone, attizzato con l’aria immessa mediante un giro della manovella posta di lato. Non mancava un grosso incudine con vari martelli di legno e di ferro per piegare la lamiera utilizzata per la realizzazione dei vari oggetti.

Mastru Peppi, così pulito ed elegante alla domenica e alle feste comandate, non era diverso daagli oggetti che lo circondavano durante il lavoro, e il suo sorriso risaltava ancora di più su quel volto nero di fumo e di stanchezza. Non smetteva mai un attimo e contrattava il prezzo senza  guardare il cliente, continuando a dare forma all’ultima sua creatura. Del resto, il tempo perso per convincere il cliente a comprare la sua merce, non lo avrebbe guadagnato attraverso il prezzo finale che sarebbe riuscito a fargli pagare.

Poi venne il tempo della plastica e delle batterie vendute con in regalo un televisore, e “Mastru Peppi” ha preferito fare il bidello, lasciando ai paesani di Mesoraca, il compito di svolgere quello che resta di questo antico mestiere: una volta all’anno, sotto l’olmo del Soccorso, si vede ancora un vecchio signore che accanto al fuoco all’aperto, circondato di quadare e quadaruni, prova a ridargli lo splendore di un tempo se proprio non lo stesso prestigio.

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