IL MATERIALE E L'IMMAGINARIO NELLA CULTURA DEL MARCHESATO CROTONESE

Disordine

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C’era una volta un re, il cui nome nessuno poteva nominare, e neppure scrivere, e men che meno pensare.
A dispetto di ciò egli esisteva, egli viveva, egli faceva sentire la propria presenza, rendeva concreto ogni indizio del suo essere, fugava ogni dubbio sulla propria illusoria figura, imponeva nei confronti di sé stesso un crescente rispetto.
Ma le lapidi non lo ricordavano, i libri non lo descrivevano, le poesie non lo cantavano, gli affreschi non lo ritraevano, le statue non lo raffiguravano, gli elenchi non lo catalogavano, i giudici non lo chiamavano a testimonio, i saggi non lo presentavano a modello, i miseri non lo imploravano, le dottrine non lo contemplavano, le profezie non lo incontravano, le teorie non lo asserivano.
Tutti ne sapevano l’essenza, tutti non potevano negarne in alcun nodo l’essere e l’esistere, al di là di ogni altra congettura scettica o problematica. Ma non esisteva memoria – e per memoria si intende la funzione fisica, concreta, materiale del ricordare – di lui, della sua presenza, del suo agire, degli effetti da lui causati.
Alcuni studiosi, invero, intuendone ingenuamente la presenza, come di fronte a qualsivoglia altro fenomeno, avevano cercato di arrivare ad una sua rappresentazione, o meglio si erano avventurati sulla strada dell’ipotesi scientifica – che cosa sia scienza è un altro mistero – di un “se” a cui però non era mai potuto seguire un “allora”.
Altri avevano anche coniato il binomio “genio e sregolatezza”, ma nessuno capiva quale nesso ci fosse con il re, di cui nessuno parlava, di cui nessuno scriveva, di cui nessuno ritraeva l’immagine, di cui le lodi non erano contenute in nessun verso o in nessuna canzone.
Le cose, che tutti conoscono come concrete e della cui esistenza parrebbe a chiunque cosa assurda dubitare, anch’esse esistevano in funzione di lui, ma non ne riuscivano a dimostrare coerentemente e soprattutto razionalmente l’esistenza.
La razionalità – il dubbio sulla sua efficacia sempre più si accresceva – pareva portare alla conclusione che tutte le conclusioni si sarebbero confuse in un’unica conclusiva confusione.
Egli, a dispetto di tutto, come a tutti era noto, esisteva.
Il nome del re era Disordine.

Vittorio Marchis
Miti postindustriali