Chi A’, E’…chi non A’, non E’
[21/9/2006]
“ La società dell’alfabeto “
Ossia: la prima lezione di mio padre
Vincenzo Padula, nel lontano 1870 ci ha lasciato questo breve compendio della società e delle sue leggi. O Lui era veramente profetico, o è vero che il mondo continua girare sempre nello stesso senso… non solo fisico.
Ero un garzone su’ tredici anni, col capo pieno zeppo di grammatica, tanto che la parea mi scoppiasse dagli occhi, e col vezzo di sollecitare ogni giorno con un rasoio intaccato i teneri bordoni delle gote, perché si cangiassero in una bella barba, sogno di tutte le mie notti, quando uscii dal seminario per passare in seno della famiglia i due mesi delle vacanze.
” “ E lì mentre vivevo festeggiato dai miei e gonfio di vento per sapere con chiara e sicura voce, tanto che sembravo un campanello, recitare d’un fiato tutte le regole del Portoreale, aspettavo un’occasione di far mostra del mio vasto sapere. Ed ecco, un dopo desinare il padre mio mi menò nella sua stanza, e lì, chiuso l’uscio, e fattomi sedere innanzi a sé, dopo stato alquanto in silenzio a lisciarsi il mento, mi ficcò gli occhi addosso, e mi domandò: «E quest’anno come siamo andati a profitto? Che studi abbiamo fatto? Che appreso di buono e di bello?». «Molte cose, babbo, e le so». «Me ne compiaccio assai, ragazzo mio, ed in questo caso mi sapresti dire quante siano le vocali?».
A questa domanda cascai dalle nuvole, le orecchie mi si fecero scarlatte come due bellichine, e punto sul vivo pel poco conto che il babbo facea della mia vasta dottrina, volsi altrove gli sguardi dispettosi e torti, deliberato di non aprir bocca. Ma egli ripetendomi una e due volte il medesimo, io gli levai gli occhi in viso, e con un po’ di stizza aprendo l’uno dopo l’altro le dita. «Voi» gli risposi «con dimande di questa fatta mi fate un vero bimbo pieno di mocci, che si muove con l’aiuto delle bertelle. Dovrei dunque tacermi, e nondimeno, per obbedire, dico che le Vocali sono cinque, A, E, I, O, U».
«Bene! sei un Salomone; ma come si fa che nell’alfabeto di ogni lingua l’A sia prima, e l’E sia dopo? Di questo fatto generale dev’averci una ragione; puoi indicarmela tu? E qui aguzza bene i tuoi ferri, perché bada che voglio una risposta, che torni per appunto».
Confesso che questa seconda interrogazione mi andò nell’umore, parendomi che richiedesse gran levatura di mente e lunga considerazione. Ma che? ero forte in grammatica, e, non pensandoci su più che tanto, risposi subitamente: «La ragione di ciò, padre mio, è che à ed è sono voci dei verbi avere ed essere, verbi ausiliari ed importanti, senza il cui aiuto si ha un bel volere coniugare tutti gli altri».
“Risposta ingegnosetta, figliuol mio, e che con l’arrota d’un po’ di commento potrebbe stare a martello» soggiunse mio padre; «ma delle questioni, anche delle più da nulla a prima vista, è duopo andare al fondo; ed io che là intendo condurti per darti a divedere come il più triviale ed ozioso quesito di grammatica possa convertirsi in un trattatello di politica, e di morale, ti prego di stare in orecchi, e far tesoro delle mie parole”.
E qui mio padre si calcò sul capo la parrucca, tirò su una presa di tabacco, raschiò, tossì, e continuò del seguente tenore: «Hai posto mai mente, figliuol mio, al nostro vicino Pietro? Egli è più là che tristo, più là che scimunito; bontà, modestia, cortesia non sa come siano fatte; ti morde baciandoti, ti fu un mal tratto ridendo, ti caccia l’ugne nelle carni stringendoti la mano. E nondimeno se per averne contezza ne di- mandi alle diecimila anime del nostro paese, tutte, mentre l’odiano a morte, ti diranno ch’ei sia la crema dei galantuomini, una perla proprio di quelle. Or perché mentiscono a prova? Perché a nessuno basta l’animo a dir la cosa come la sta? Pietro è di razza cane, e non altrimenti che cane, il quale in mezzo alla via posando a terra il sedere, e stando ritto sulle gambe d’avanti, origlia, fiuta, ed abbaia ai passanti, egli nei pubblici ritrovi e negli amichevoli crocchi dice a tutti sboccatamente e con lingua serpentina il fatto loro; e questi, a sentirlo, è briccone, colui ladro, l’uno melenso, l’altro dissoluto; e se gli capiti innanzi, non ci è con lui amicizia che tenga, non servigi prestati che valgano, ti vitupera al cospetto di tutti, e ti rende l’uccello della brigata. Tu l’odi, e ti fuma il naso; tu l’odi, né puoi tenerti; e già vorresti rispondergli per le rime, coglierlo nei suoi mille guidaleschi, rendergli coltelli per guaine; ma, tuo marcio grado, ei ti conviene tacere, ci ti conviene stare in guinzaglio, pigliare in barzelletta le solenni fardate che ti dà sul muso, e, quel ch’è peggio, curvare in arco la schiena, e sorridere all’insultante cachinno degli astanti. Or perché ti manca il fegato di stargli a tu per te, e di cucirgli la bocca? Ciò avviene, figliuol mio, perché Pietro è persona pecuniosa, nato in una famiglia uscita, un trentaquattro anni fa, la prima volta dal fango, ai tempi della francese invasione, e poi usureggiando, e poi rubando, e poi furfantando venuto a poco a poco in denaro; ed a lui, che con questo tiene il paese in pugno, ch vuoi tu che faccia l’uomo addosso? In questo misero mondo chi à è, e chi non à non è. Pietro à quattrini, e dunque è amorevole ammonitore degli altrui difetti. E questo ch’io ti dico, entrato che sarai più innanzi negli studii, ti verrà confermato dalla Logica, sorella consanguinea della grammatica, dove tu troverai stampato con lettere formate tanto fatteAsserit A, negat E, verum generaliter ambo;
il quale verso suona che chi à è; chi non à non è; e chi à, ed è, afferma e nega in modo assoluto, non lasciando luogo ad appellazione. Pietro dirà che Tizio è dabbene? Subito di Tizio si scriveranno vita e miracoli. Dirà per contrario che sia cattivo? Non mancherà chi gli apparecchi la forca».
E qui mio padre si ricalcò stizzosamente la parrucca sul capo, tirò su un secondo pizzico di tabacco, raschiò, tossì, si soffiò il naso, e riprese: «Prendiamo ora il signor Sempronio. Sempronio è un farfanicchio, una zucca vuota, un cedriuolo semenzito, un paio di calzoni agganciato ad una giubba, ed imbottito di sciocchezze. Gracchia sempre, né sputa mai, e, se sputa, gli altri leccano; e, se parla, si ha per oro pretto ogni parola che gli esce di bocca, e si grida al miracolo, e si battono le mani a guisa di cennamella. A quei della brigata che son vicini quella parola si ripete a voce sommessa, e con aria solenne; a quei che son lontani si comunica per via di gesti. Sempronio si picca di poesia, e si tiene d’assai nell’arte oratoria. Recita componimenti, che non sono sua farina, e quanti gli stanno attorno ne commentano le frasi: vi mettono le virgole, i due punti, il punto; e gli accenti coi vani moti delle spalle, delle mani, dei piedi; vi segnano le parentesi marcando le ciglia, e coi nasi allungati sulle labbra sporte in fuori vi cacciano per entro mille punti ammirativi. Sempronio tiene ad un tratto della gazza e della scimia; non può star solo un istante, si gira torno torno come un arcolaio, ora si alza, ora si siede, ora cammina, e le persone della brigata, che gli vanno a verso, e gli tengono bordone, si alzano e bassano come i salterelli di una spinetta. Se parla del prossimo, fanno alla musica di lui mille variazioni; se ride, le loro bocche ombrate dai baffi presentano l’oscena figura delle cocce di Taranto aperte dall’acqua calda. E questo avviene, o figliuol mio, perché Sempronio ha molto bene di Dio, e coloro che lo corteggiano o sono poveri in canna, o posseggono ben poco; e questi cotali sono nel civile consorzio non altro che mere consonanti, perché consuonano alla voce del ricco, e si conformano agli atti di lui, il quale è la vocale, senza di cui sfido io a fare che la consonante abbia suono.
Ora al pari che le consonanti sono altre mute, ed altre semivocali, e mute diconsi quelle che stanno dietro alla vocale, e semivocali quelle che la precedono, così, salvo i beati ricchi che sono vocali, tutto il resto dei bipedi ragionevoli si parte in due classi. Compongono la prima i poveri in canna, gli artigiani, i contadini, i quali, perché, stando dietro al ricco, piglian l’aria e i modi da lui, e dissimulando i pensieri gli vanno a compiacenza, e l’inchinano, e gli fan codazzo, e soffìono in silenzio di esser messi in coglionella, possono addimandarsi consonanti mute. Compongono la seconda i galantuomini di mezza falda, i quali perché, parte campando con l’industria, e parte con la professione, hanno qual più, qual meno la balìa cli se medesimi, possono nomarsi consonanti semivocali. E sta bene sull’avviso che di queste persone semi- vocali, parecchie sono biingui, né parlan mai secondo verità; e nei paesi dove han molti ricchi si mettono attorno all’uno per ficcare il naso ne’ suoi secreti, e ridirgli all’altro, e cacciano biette tra le famiglie, e le dividono in fazioni; delle quali facendo canna ora a questa, ed ora a quella di tal mestiere si vivono. E peste così fatta possono chiamarsi semivocali liquide pel penetrare che fanno da per tutto, e per la loro instabilità. In mezzo a tante consonanti il solo ricco è vocale e tu per so1- lazzarti e ridere dell’una e dell’altre, osservale in una brigata. Colà il ricco è il registro d’un organo che leva, e rende il suono ai tasti, secondo si spinge dentro, o si tira fuori. Quanti lo circondano sono consonanti; e bada che in quel loro musicale concerto gli adulatori son quelli che rendono il suono un’ottava più alto.
Che cosa dunque è il civile consorzio, o figliuol mio? Una parolaccia composta di vocali, consonanti mute, semivocali, e liquide.
Ed ecco perché in tutti gli Abicì l’A è prima, e l’E è dopo; perché
chi À E’, e chi non À non E’».’
- Alla lezione di mio padre aggiungo, or che son vecchio, una osservazione, ed è questa, che s’egli è vero che chi à è, è verissimo del pari che chi è à. Nello scendere e salire al potere, che si è visto da diciassette anni in qua, di tanti e tanti è bastato ad un pedante e ad un arruffone il divenire ministro per essere strombazzato da un punto all’altro d’Italia come un’Arca di Scienza, ed un Eroe. Ai ministri, vocali maiuscole, e a quanti vengono dopo loro, vocali minuscole, tutti consuonano. Col nuovo Sole che sorge, sorgono mille giornali e giornaletti consonanti, che pasciuti col nostro denaro dicono con faccia tosta bianco al nero, e nero al bianco; ma ahimé! quelle consonanti son liquide. Caduto l’uno, non se ne parla più; e chi ne piglia il posto ne piglia pure la dottrina, la virtù e la riputazione, le quali in Italia (fortunato paese!) sono altrettanti soprabiti che passano successivamente dall’uno all’altro. Dunque se Pietro è pezzo grosso, à dottrina, à bontà, à patriottismo; e se no, no. E dunque vero che chi è à, e chi non è non à. (Nota dell’Autore, 1878).