I fantasmi nel Sud
07/06/2007
“ Fantasmi nel sud” di Giuseppe Gironda racconta la rottura di un secolare equilibrio socio-culturale.
Un vecchio contadino che con la Riforma Agraria ha finalmente conquistato il diritto possedere un “suo” pezzo di terra, è in aperto contrasto con il figlio che, abbagliato dalle immagini di processo e di benessere mostratigli dalla televisione, non vede l’ora di emigrare per fare anche suoi questo progresso e benessere. Pertanto, nel racconto di Gironda si scontrano in modo veramente significativo due mentalità: quella del vecchio bracciante che, indissolubilmente legato al mondo della terra e dopo una vita in gran parte trascorsa a sudare sulla “roba” altrui, vede il lottato riscatto suo e della sua famiglia nel possesso di un podere, e quella del giovane che, non avendo vissuto la storia di sfruttamento, di emarginazione di isolamento del padre, ed essendo di una generazione che ormai ha reciso tutti i legami con il mondo rurale, è sempre più cosciente che in un modo di vivere diverso gli spetta di diritto e pertanto vede la propria emancipazione solo nel prendere un treno per andarsene lontano. ” “
Lo scontro fra i due sarà drammatico e insanabile perché tanto il vecchio quanto il giovane sono ugualmente vittime di una storia che ha confinato e continua a confinare il mondo a cui essi appartengono ai margini del benessere e del progresso. Prendendo, inoltre, il vecchio e il giovane come simboli i primo della Calabria patriarcale e contadina-comunque dotata di una propria identità storica e culturale-, e il secondo della nuova Calabria- che se da una parte non vuole più sentirsi separata e diversa del resto dell’Italia e del mondo, dall’altra non riesce a darsi un nuovo ruolo ed una nuova identità-, lo scontro insanabile fra i due diventa espressione delle contraddizioni e dei conflitti che, dal secondo dopoguerra in poi, hanno investito la società calabrese; contraddizioni e conflitti che, hanno fatto sì che nella stessa società il “troppo vecchio” convivesse col “troppo nuovo” senza che ci fosse un organico e ordinato sviluppo economico, sociale e cultural. E alla luce di tutto questo, i protagonisti del racconto di Gironda si rivelano tutti e due come dei “fantasmi”: il vecchio perché è il sopravvissuto di un mondo destinato a sopravvivere, e il giovane perché, tagliando ogni legame con il proprio passato, rinuncia ad ogni discendenza socio-culturale per scegliere l’anonimato e l’appiattimento dei modelli di vita impostigli dalla televisione simbolo per eccellenza della civiltà dei mass-media
L’uomo fumava seduto sul gradino di casa e guardava la sera scendere sulla campagna. Intorno a lui, sotto ai meli dell’orto, le ombre si addensavano e si udiva l’acqua scorrere gorgogliando nei canali. Tra poco sarebbe arrivato dalla città il camion del grossista per caricare i pomodori, e dopo, finalmente, un altro giorno sarebbe terminato. La strada che attraversava i poderi a quell’ora era fiancheggiata da gruppi di cassette già confezionate: uno davanti a ciascuna casa di assegnatario dell’Ente. Il camion vi si fermava dinanzi, il commerciante controllava la qualità della merce e, portafogli alla mano, tante cassette tante centinaia di lire pagava. Quella sera, però, l’uomo era stanco e non si sentiva di effettuare il carico da solo.”Vincenzo!” chiamò per assicurarsi che il figlio fosse in casa e avesse potuto aiutarlo al momento opportuno. Nessuno rispose. Solo dopo qualche istante dall’interno una voce disse: “ Non c’è!”. Allora l’uomo chinò il capo, rigirò duo o tre volte la sigaretta fra le dita e poi la lasciò cadere in terra e vi strofinò sopra con la forza la scarpa. Non aveva bisogno di domandare dove il figlio fosse andato: la storia si ripeteva ormai da qualche mese ogni sera.
Intanto una donna si era affacciata all’uscio. Era vestita di nero e aveva superato la sessantina. Più che vederla, il marito né avvertì la presenza.
“E’ andato a montarsi la testa!” esclamò.”Non è vero?”
L’altra tacque. Il suo volto, dalla pelle scura, riarsa dal vento e dal sole, rimase immobile. Neppure una delle rughe che lo solcavano ebbe un’increspatura: una maschera che poteva nascondere qualsiasi sentimento e desiderio, ma di là della quale nessun sentimento o desiderio trasparivano mai. Fin da ragazza, infatti, la donna aveva acquistato la rassegnata abitudine di non manifestare ciò che aveva nell’animo e nella mente. Sarebbe forse servito a qualcosa, quando la vita, giorno per giorno, le si era andata costantemente rivelando più forte della sua volontà, dei suoi affetti, della sua miseria. Un gran fiume nel quale si era dentro e che portava dove voleva o dove volevano coloro che erano capaci di dominarlo? Anche in quel giorno famoso di otto anni addietro in cui il marito( allora abitavano lassù, in paese) le aveva annunciato:” Ci hanno assegnato la terra e la casa!”, anche in quel giorno famoso la gioia se l’era tenuta dentro, dubitando che la notizia tanto attesa potesse non essere vera e temendo al tempo stesso che la nuova realtà che veniva a investire e a trasformare la sua esistenza potesse nascondere un inganno. E l’inganno, in un certo qual modo, c’era stato. Quando i figli si erano fatti grandi, quel po’ di terra di cui ella e il marito erano diventati proprietari, quei quattro ettari così a lungo, così fortemente desiderati, si erano dimostrati incapaci di soddisfare le esigenze della famiglia, e la famiglia si era dispersa. Dapprima erano partiti Vitaliano e Rocco, che adesso si trovano in Belgio, nelle miniere, poi Diodato, che da Milano scriveva sì e no una volta all’anno, e ora , quanto prima, sarebbe stato il turno di Vincenzo.
“E’ peggio che se andasse a ubriacarsi!” disse il vecchio, i gomiti sulle ginocchia, chino verso terra.
“Ma deve pure distrarsi, ogni tanto!” parlò finalmente la donna.
“Già, col veleno! Poiché è veleno ciò che ogni sera da Roma o da Milano gli somministrano…magari senza saperlo!”. Dal mare poco lontano si levava la brezza. Il vento scorreva fresco e leggero fra gli alberi e investiva i due sull’uscio della piccola casa:”Ora che è rimasto lui solo, qui,”continuò il vecchio “cosa gli manca? Potrebbe anche sposarsi se lo volesse! Ma no: trìcchete e trìcchete lallaralà, ogni sera lo devono stordire, gli devono stuzzicare l’appetito e la fantasia mostrandogli le città del nord e come vive l agente lassù e i locali dove si balla…E lui, è chiaro che ogni mattina si svegli con un desiderio sempre minore di restare qui, a travagliare sulla terra, e con un’intenzione invece, sempre più salda di partire…”.
L’uomo parlava e la donna, sempre in piedi sulla soglia taceva. Non aveva argomenti da opporre al ragionamento del marito.
“ Non è così?” ella rispose, ma subito dopo comprese di essersi espressa in quel modo soltanto per non dover accrescere il rammarico dell’altro. Più di questi ella era convinta che, prima o poi, Vincenzo sarebbe partito e, anzi, se il marito sperava ancora che potesse esservi una maniera per trattenere il figlio, per legarlo non tanto a loro quanto alla terra, lei questa speranza non al nutriva più. Si era rassegnata all’abbandono dei figli non adesso, ma da un giorno di alcuni anni addietro, quando Vitaliano, il maggiore, si era ribellato al padre urlandogli violentemente in faccia che non valeva più la pena di affaticarsi tanto su quel po’ di terra; la quale, poi, non dava da vivere a tutti.
I fari del camion, che in quel momento apparvero in cima alla strada, le offersero l’occasione per cambiare discorso.
“Ecco il grossista!”esclamò.
Il camion aveva lasciato da pochi istanti la strada nazionale e adesso percorreva lentamente quella non asfaltata che s’inoltrava nei poderi.
Priama di giungere davanti alla casa si sarebbe dovuto fermare due volte per compiere due carichi.
Il vecchio, comunque, si alzò.” Questa sera è in ritardo!”disse. Poi trasse dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di “Nazionali” dove erano cinque sigarette e ne accese una, intaccando la razione dell’indomani. La donna scese dal gradino della porta e si avvicinò alle cassette di pomodori. Non sarebbe stata la prima sera in cui avrebbe aiutato il marito a compiere il carico. Adesso il camion era fermo, i riflesso dei fari rischiarava al strada e nel silenzio si udiva il motore al minimo e, di tanto in tanto, la voce alta ed energica del grossista che contrattava la merce.
Portato dal vento giunse anche il rumore del treno. Era il diretto che veniva da Reggio e andava verso Taranto. La donna udì e pensò al figlio: alla sera in cui quel treno avrebbe ripreso il suo quotidiano viaggio verso la costa e se lo sarebbe portato via, verso il nord, come aveva già fatto con gli altri. Osservò il marito: se anch’egli avesse pensato alla medesima cosa, ma il vecchio, che stava accomodando alcuni pomodori nelle cassette, sembrava non avervi fatto caso.
“Facciamo presto, sono in ritardo!”, disse il grossista di là a un adecina di minuti balzando a terra dalla cabina non appena il camion si fu fermato davanti alla casa. Il vecchio aveva sollevato la prima cassetta e stava per mostrargliela.
“Alla svelta, carica!”ordinò l’altro.”Spero bene che non mi avrai ingannato sistemando in fondo la merce di scarto!”.
Con un fazzoletto si asciugò il sudore sulla fronte e sulla nuca, poi continuò:”Non devo più fermarmi dai Placanica!. Sembra di stare al cinema, là dentro! Questa sera vi saranno state quaranta persone e neppure lo spettacolo trasmesso era cattivo! Avreste dovuto vedere gli sguardi di tutti!…Se non sbaglio, devo aver intravisto anche vostro figlio, sì, proprio nella prima fila!”.
Il grossista s’infervorava nella descrizione, e intanto il vecchio, mentre sistemava sul camion le cassette che la moglie gli porgeva, vedeva la scena. Gli brillava, nitida e precisa dinnanzi agli occhi, come nella sera della settimana addietro quando l’aveva spiata, dall’altra parte della strada, nascosto dietro un albero, con la doppietta tra le mani. Anche i Placanica erano una famiglia di assegnatari dell’Ente di Riforma, e anche ad essi la terra che era stata loro concessa non bastava. Un bel giorno Carmelo, il capo, nella ricerca di un espediente che gli avesse permesso di guadagnare qualche migliaio di lire in più al mese, aveva trasformato la stalla in uno spaccio: aveva sistemato le panche al centro, nel fondo di fronte all’ingresso aveva collocato l’apparecchio della televisione, e da una parte, lungo la parete, il banco per la mescita del vino e delle gazzose. L’idea era stata geniale e redditizia. Nel giro di una settimana la notizia si era sparsa fra i poderi della zona e adesso ogni sera il locale era affollato che sembrava il cinema di Crotone nei pomeriggi di domenica. Seduti sulle panche i giovani -poiché erano quasi esclusivamente essi gli avventori- bevevano un litro in otto ( di più non potevano permettersi) e con gli occhi che sembravano incollati sul video lasciavano che da Roma o da Milano gli montassero la testa e gli guastassero la volontà di sudare sulla terra, come diceva il vecchio. Quante volte il vecchio non aveva proposto al Placanica di lasciare sì, aperto lo spaccio, ma di togliere via di mezzo la televisione, quante volte non si era ingegnato di mettere in guardia il collega sul male che quel genere di passatempo avrebbe inevitabilmente procurato all’indole dei loro figli! “Non sono spettacoli adatti per noi!” aveva sempre concluso. “A noi, lassù nessuno pensa! Avrebbero dovuto abituarci a poco a poco, e invece ci hanno portato il terremoto!”. Ma ogni volta il Placanica gli aveva risposto con una risata dicendo: “E credi davvero che venderei un po’ di vino o qualche gazzosa se non richiamassi i giovani con gli spettacoli della televisione?”. Così quella sera il vecchio era andato ad appostarsi di fronte allo spaccio con il fucile tra le mani. Vi si era avvicinato compiendo un largo giro attraverso i campi, quando la notte era discesa, in modo da non essere visto o riconosciuto, e addossato al tronco di un ulivo s era messo a spiare la medesima scena che adesso, mentre continuava meccanicamente a sistemare sul camion le cassette portegli dalla moglie, aveva innanzi allo sguardo: il quadratino luminoso e sonoro del video dove ombre e luci si agitavano in continuazione, e la musica della trasmissione, e una voce di donna che cantava, e le risate dei giovani che assistevano alo spettacolo, tra le quali aveva cercato d’individuare quella del figlio. A un certo punto aveva imbracciato un fucile e aveva preso la mira. Ma poi non ne aveva fatto nulla, ed era tornato indietro, adirato contro Placanica, contro il figlio, contro se stesso, e con le dita che gli dolevano, così strettamente le aveva tenute avvinghiate intorno al calcio e alle canne della doppietta.
“Vuoi stare attento, per Giove!”.
La voce alterata del grossista lo distrasse dal ricordo. Poggiata la cassetta sul camion, si chinò per raccogliere i pomodori che sbadatamente aveva fatto cadere per terra.
…
“Alla sera sei stanco!”disse il commerciante traendo dal portafogli il denaro per pagare. “Dovrebbe sostituirti tuo figlio.”
Il vecchio non rispose e intascò i biglietti di banca. Era alto e massiccio, chiuso nel suo torvo silenzio, sembrava una rupe ravvolta dalle ombre della notte. La moglie taceva e stava a un passo dietro di lui.
“Allora, come al solito, tra una settimana!”continuò l’altro entrando nella cabina del camion che subito si mosse.
I due attesero che si fosse allontanato di un centinaio di metri, poi si avviarono verso casa, ma giunti alla porta soltanto la donna entrò. Il vecchio, invece, tornò a sedersi sul gradino. La brezza continuava a soffiare dal mare e giungendo fino a lui adesso lo ristorava dalla fatica compiuta. Rimase così, a guardare intorno a sé la macchia più scura dei meli dell’orto e ad ascoltare l’acqua scorrere gorgogliando nei canali, fino a quando non udì qualcuno avvicinarsi dal fondo della strada fischiando una canzone, qualcuno dal passato troppo noto e familiare. Allora si alzò ed entrò in casa per non avere di lì a poco a incontrarsi col figlio.
Giuseppe Gironda