IL MATERIALE E L'IMMAGINARIO NELLA CULTURA DEL MARCHESATO CROTONESE

L’EDA a Crotone

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[14/8/2008]

……Nel burrone di Lung Men tanto, tanto tempo fa c’era un albero di nome Kiri, un vero re della foresta. Un potente mago costruì con il legno di quest’albero un’arpa meravigliosa, il cui spirito non poteva essere domato nemmeno dal più grande dei musicisti.
Per molto tempo quest’arpa fu custodita insieme ai tesori dell’imperatore della Cina senza che nessuno, tra tutti coloro che avevano tentato, fosse riuscito ad estrarre una melodia dallo straordinario strumento. Infine arrivò Pai Ya, il più bravo di tutti gli artisti. Accarezzò l’arpa con mano leggera, quindi prese a pizzicare leggermente le corde dello strumento. Pai Ya cantò la natura e le stagioni, le alte vette delle montagne e le tumultuose acque dei fiumi e tutti i ricordi dell’albero si risvegliarono. Incantato il Signore del celeste Impero volle conoscere il segreto che aveva permesso a Pai Ya di avere ragione della resistenza dell’arpa. “Maestà – rispose il musicista alle domande dell’imperatore – coloro che mi hanno preceduto nel tentativo di suonare questo strumento hanno fallito perché non cantavano che essi stessi. Io, invece, ho lasciato che l’arpa scegliesse da sola la sua sinfonia e non sapevo bene se l’arpa fosse Pai Ya o Pai Ya fosse l’arpa”…..
Okakura Kakuzo, Il libro del tè, Sugarco, MI
“La musica è cambiata, l’arpa comincia a suonare”. E’ stato questo il primo pensiero che la mia mente era riuscita ad elaborare quando, nell’estate del ‘97, nel silenzio della sospensione del¬le attività didattiche, il Provveditore Giovanni Garreffa ci fece leggere l’ormai famosa OM/ 455. Finalmente si delineavano interventi e azioni formative per una fascia di utenza non più abituata ai banchi di scuola. Finalmente una risposta logica e coerente del nostro Paese al vasto dibatti¬to che nel ‘96 (anno Europeo dell’istruzione e della formazione lungo tutto l’arco della vita) aveva avuto come interlocutori autorità nazionali, insegnanti, imprese e parti sociali. Accanto a questi primi elementi di riflessione, ancora più pressante era la sensazione che questo treno non era da perdere se non si voleva rischiare di rimanere ancora una volta ad aspettarne un altro che quasi sempre dalle nostre parti arriva in ritardo. Il lasso di tempo intercorso tra la fase di studio a quella progettuale è stato brevissimo. Il Provveditorato di Crotone, i Distretti Scolastici, la Provincia e il Comune Capoluogo, prepararono e diffusero un manifesto informativo che, con l’aiuto di un passaparola tanto efficace quanto non del tutto previsto, fece in modo che si raccogliessero, nel breve termine di un mese, più di duemila domande di adesione ad un progetto che apriva le porte ad una seconda possibilità al giovani che non avevano avu¬to successo nel sistema scolastico classico e ai meno giovani, che, pur acculturati, erano bisognosi di nuovi saperi richiesti da una società in rapida tra¬sformazione. Le iniziative annunciate, diversificate nell’offerta formativa avevano un obiettivo comune: rende¬re un servizio alla popolazione perché fosse messa nella effettiva condizione di assumere il controllo delle trasformazioni in atto nei vari ambiti e incidere in modo creativo su di esse, anziché subirle.

Molti i fattori che hanno determinato la plebiscitaria adesione di cui si parlava:
– la domanda di rientro informazione da parte dei soggetti che hanno subito l’insuccesso scola¬stico o hanno bassi livelli di scolarità o colpiti da analfabetismo funzionale;
– la domanda proveniente dal mondo della pro¬duzione determinata dallo sviluppo delle nuove tec¬nologie, dalla comparsa di nuove modalità di la¬voro soprattutto nel settore terziario, nei servizi. La formazione di tipo convenzionale non basta più. Le nuove figure di lavoratore necessitano di elevati livelli di istruzione e non sempre le impre¬se sono in grado di trasformarsi in luoghi di for¬mazione, non sempre riescono a dar vita ad un modello di “azienda educativa”;
– la domanda prodotta dalle nuove esigenze co¬municative è motivata non solo dall’impoverimen¬to del patrimonio linguistico ma, forse, ancor di più, dall’impossibilità d’espressione attraverso i moderni mezzi di comunicazione.
– Acquisizione di strumenti culturali e operativi per la conoscenza e la valorizzazione del proprio territorio.
Nella neonata Provincia di Crotone, ultima in Italia sotto diversi aspetti, almeno secondo le statistiche dei giornali di quell’anno, si sono rivelati pressanti più che altrove i presupposti di base per lo sviluppo dei CTP:
1. la volontà dei soggetti di contrastare le nuo¬ve forme di esclusione educativa;
2. la necessità di possedere strumenti che possano garantire la piena partecipazione e controllo sulle trasforma¬zioni in atto nella società e nel lavoro;
3. la volontà di riscatto delle istituzioni locali che attraverso l’adozione di questo strumento vedono la possibilità di inserirsi nel grande filone delle politiche educative di molti sta¬ti europei tendenti a fare dell’istruzione degli adulti un terreno privilegiato di iniziativa e di sviluppo, in particolare a livello locale. Tutto questo in un contesto come l’Italia e la Calabria in particolare dove, ancora alle soglie del 2000, si deve registrare una grande sofferen¬za della popolazione adulta per le ancor numero¬se povertà culturali che la contraddistinguono, quali l’analfabetismo, l’analfabetismo funzionale e di ritorno, l’emarginazione sociale, fenomeni questi ultimi correlati all’affermazione di nuovi saperi ed alfabeti (telematica, informatica … ).
Queste in estrema sintesi le coordinate fondamentali di una serie di scelte che non sempre hanno trovato terreno fertile, soprattutto sotto l’aspetto della lungimiranza e della credibilità, ma che col tempo (un anno) e con le opportune iniziative hanno dati frutti forse non proprio tutti preventivati.
Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti, non solo nel territorio circoscritto del crotonese ma, nel bene e nel male, in tutto il territorio nazionale. La provincia di Crotone conta 31 centri territoriali e, quel che più conta, vede questa nuova istituzione presente in ogni comune del nostro territorio, anche in quelli dove “l’istituzione scuola” stava ormai per scomparire del tutto per il noto problema del calo demografico da una parte, e per le esigenze di razionalizzazione dall’altra. In questi paesi quindi, non più solo occasionali corsi serali per acquisire un titolo di studio, di licenza elementare o media, ma luoghi di educazione e di formazione conti¬nua e “permanenti” per tutti i cittadini, al di sopra dei 15 anni di età: questa del resto è la funzione primaria dei Centri Territoriali Permanenti per l’Educazione degli Adulti, istituiti stabilmente in base all’Ordinanza Ministe¬riale n. 455/97. E’ stata questa, forse, la scommessa più esaltante: la costituzione di Centri che hanno l’occasione di valicare il muro di cinta del Santuario Scuola e contattare parita¬riamente, almeno sul piano della dignità, il mon¬do della disoccupazione e quello del lavoro, il mondo della politica che orienta e decide e del¬l’amministrazione che applica e realizza. Un modo nuovo, per la scuola, di manifestare le sue ricchezze per vincere anche lo scarto di ormai palese non credi¬bilità (da un confronto infatti possono evidenziarsi anche le cose che non vanno, le lacune da colma¬re, i patti da rispettare), manifestare tutto ciò che oggi fatica ad emergere nonostante gli organi collegiali e le continue sollecitazioni che provengono dalla collettività.

Il problema della istruzione e della formazione in età adulta ha assunto il ruolo di elemento politico unificante, favorendo in una regione come la nostra, dall’alto tasso di disoccupazione giovanile, quel raccordo tra istruzione e formazione professionale e territorio del, quale si discute da lungo tempo e che rappresenta uno dei punti qualificanti l’O.M. 455 . La legge Treu e tutte le altre norme riguardanti la formazione, l’istruzione e il lavoro ci hanno offerto a questo proposito ampi spazi per l’azione dei Centri, in rapporto alla natura e alla finalità dei servizi previsto nell’ambito dei lavori socialmente utili, sia per quanto riguarda l’approfondimento di tematiche culturali e l’acquisizione di informazioni di base, ed iniziati¬ve di educazione alla cultura cooperativistica, che per attività di carattere professionalizzante. La definizioni di intese tra Provveditorato agli Studi di Crotone, la Regione Calabria, la neonata provincia di Crotone e tutti i comuni del crotonese oltre che con I’IRRSAE, l’Uf¬ficio del Lavoro, ed altri Enti che si occupano di politiche culturali e del lavoro ha rappresentato l’impegno preliminare per la stesura di un progetto che si sta rivelando veramente innovati¬vo e ci ha permesso in molti casi di andare oltre quello che era il dettato normativo. Del resto, il fatto che tutti i comuni della provincia, dal più piccolo al più grande abbiano, di concerto con il provveditorato, deciso di contribuire con ogni tipo di risorsa disponibile alla nascita dei CTP non può non essere visto come il segnale di una volontà di riscatto che ci pone almeno in questo senso tra i primi posti in Italia. Accanto a comuni che non avendo altre risorse hanno contribuito inserendo in bilancio somme da destinare alle attività dei CTP, abbiamo visto comuni che anno finalizzato a questo scopo tutte le attività di promozione socio culturale della comunità: i pacchetti Treu, le attività della legge 216, i lavori socialmente utili, i progetti delle associazioni culturali e professionali, sono stati collegati, per le parti coerenti con il dettato normativo, alle attività dei CTP. Come si poteva del resto restare indifferenti davanti ad una domanda che in alcuni casi raddoppia e triplica il numero dei frequentanti la Scuola dell’obbligo: abbiamo situazioni in cui la sede scolastica è più frequentata di sera che di giorno e in paesi dove si stava già discutendo di modificare la destinazione d’uso degli edifici scolastici non più utilizzati ci si è visti costretti a riutilizzare arredi ormai dismessi e destinati al macero. La domanda pressante di interventi progettuali riguardanti la riscoperta e la valorizzazione territoriale ha dato impulso a qui settori amministrativi che navigavano nell’ordinaria amministrazione e che hanno trovato nuovi stimoli e motivazioni. E’ ovvio che tutto questo era già presente nelle realtà territoriali di cui stiamo parlando, niente si crea dal niente, l’OM 455 non è l’improvvisa e miracolosa soluzione di tutti i problemi delle zone più degradate d’Italia, ha svolto però, in modo particolare nella nostra provincia, quella funzione di detonatore in un processo che andava lentamente alla deriva verso la spiaggia della rassegnazione.

D’altra parte la situazione non si presenta tutta rose e fiori e le spine sono ancora molto acuminate: i CTP devono scontare una serie di ritardi dovuti a fattori esterni che si concretizzano nella fatiscenza delle strutture, nell’assenza di strumenti, nella diffidenza verso innovazioni sempre preannunciate e quasi mai concretizzate, e per finire, nella cronica penuria di fondi. La scuola, i Comuni non sono preparati strutturalmente ad affrontare la grande sfida lanciate dalle migliaia di adesioni che sono piovute loro addosso e la situazione è di quelle che non permettono improvvisazioni o sperimentazioni perenni e precarie come quelle a cui siamo ormai abbondantemente abituati. E’ facile sviluppare interventi educativi la dove le strutture già esistono e aspettano solo di essere utilizzate; è difficile e in molti casi impossibile attivare gli stessi interventi dove esiste il deserto delle strutture e dove anche per portare avanti i progetti della scuola dell’obbligo si deve fare affidamento sull’inventiva e l’arte di arrangiarsi delle popolazioni meridionali. Esistono di converso una serie di problematiche tutte interne che non sono state completamente risolte dalla normativa in atto relative proprio al concetto di età adulta e alle innovazioni metodologiche che l’educazione degli adulti comporta. L’evoluzione in tal senso è stata determinata dall’intrecciarsi di numerosi fattori di tipo socia¬le, culturale, scientifico, economico e tecnologi¬co, che hanno influenzato profondamente le con¬cezioni relative all’età adulta, modificandone radi¬calmente le rappresentazioni correnti di stadio della vita in gran parte strutturato e definito. E’ mutata contestualmente anche la concezione d’età evolutiva, in ambito psicologico, di solito riferita al periodo precedente l’età adulta, a favore di un orientamento che considera lo sviluppo psicolo¬gico lungo tutto l’arco della vita, fortemente correlato alle trasformazioni storiche e sociali.
E’ cambiata, d’altra parte, la nozione di analfa¬betismo, il cui aspetto strumentale (saper leggere, scrivere e far di conto) è passato in secondo piano rispetto a quello funzionale (capacità di comuni¬cazione, di relazione, di integrazione), molto più problematico in una società complessa e a rapida evoluzione come la nostra, nella quale s’impone ¬la necessità di tornare in formazione più volte nel corso della propria vita.
La creazione dei Centri Territoriali per l’educazione permanente costitui-sce dunque una risposta di eccezionale importan¬za alla domanda sociale di formazione, che essi avranno il compito di intercettare, catalizzare, organizzare e soddisfare adeguatamente, con il con¬corso delle Istituzioni pubbliche e private, con le quali potranno stabilire convenzioni ad hoc per la realizzazione di progetti condivisi. E’ ovvio che tutto questo non può prescindere da una accentuata attenzione verso gli operatori dei Centri, per i quali andrebbero programmati e realizzati moduli di formazione specifici sotto il profilo delle tecniche educative e progettuali. E’ ampiamente risaputo che le tecniche di comunicazione, di relazione, di conduzione dell’attività didattica, variano sensibilmente a se¬conda dei destinatari e delle condizioni in cui ci si trova ad operare. Il lavoro con gli adulti, siano essi giovani adolescenti, persone disoccupate o in cer¬ca di occupazione, immigrati…, richiede competen¬ze che non possono essere né improvvisate né tra¬sferite semplicisticamente da altri settori. Pertanto, l’intera problematica del rientro for¬mativo dovrà essere attentamente considerata dal punto di vista dell’approccio didattico, in quanto, non sembri inutile ribadirlo, la ricostruzione di competenze o l’aggiornamento del sapere in età adulta richiede modalità di relazione e strategie metodologiche adeguate, e, soprattutto , individua¬lizzate. Il rientro in formazione è certamente ne¬cessario, ma bisognerà fare in modo che sia moti¬vante per le persone che decidono di frequentare i corsi attivati. Si presenterà, altrimenti, il proble¬ma dispersione, sotto forma di strisciante e pro¬gressivo abbandono. La formazione dei formatori e senza dubbio un punto nevralgico del sistema che si sta mettendo in moto.

Sul versante della progettazione, esistono poi diversi paradigmi teorici. La complessità del tema è oggi potenziata da uno scenario culturale e scolastico innovativo e dal processo di trasformazione innestato dalla recente normativa sull’Autonomia. Sullo sfondo, la sfida qualitativa impone di valorizzare il potenziale di progettualità delle differenti realtà formative, con le loro esperienze, le loro aperture al contesto (continuità orizzontale), la loro attenzione alla costruzione diacronica del curricolo (continuità verticale). Un percorso formativo che tenda a far acquisire conoscenze e competenze metodologiche sulla progettazione nel campo dell’educazione in età adulta non è preordinato a favorire una scelta di campo quanto piuttosto ad arricchire la visione complessiva della tematica per favorire la capacità di fare scelte, a seconda dei bisogni degli utenti. Non, dunque, una visione statica del problema, ma un processo che tenga conto del vissuto professionale degli insegnanti e della situazione d’intervento. L’attività formativa si configura, infatti, come seminario di ricerca e prevede la partecipazione attiva dei docenti-corsisti mediante gli strumenti della discussione, del confronto, delle attività di gruppo, delle esercitazioni in situazione. In tale prospettiva la comunicazione con/fra adulti, la percezione della realtà e degli altri, la rivalutazione del proprio e dell’altrui vissuto, diventano punto di riferimento essenziale per la formazione di operatori in grado di gestire la complessità dell’azione professionale specifica grazie ad un profilo che preveda la capacità di: organizzare – progettare – rilevare comunicare – relazionare – promuovere sinergie nel territorio.
I Centri Territoriali della Provincia di Crotone hanno tutte le potenzialità per diventare uno degli strumenti per realizzare l’obiettivo del sistema formativo integrato, di cui si è ampiamente discusso in questi ultimi anni, ma che ha sempre stentato a prendere corpo pro¬prio a causa della mancanza di gambe normative e istituzionali. Il dialogo e l’osmosi fra il mondo della scuola e il mondo della formazione profes¬sionale, fra la formazione scolastica e quella extrascolastica, fra le diverse realtà afferenti al mondo del lavoro e dell’istruzione, può trovare nei Centri la concreta possibilità di affermazione. La condizione perché ciò si avveri risiede nella volontà di caratterizzarsi, sin dalla nascita, come strutture aperte, capaci di interazione, non soltan¬to con le diverse realtà presenti nel proprio terri¬torio di riferimento, ma anche con le altre strut¬ture simili, per finalità e obiettivi, operanti nel contesto provinciale, regionale e nazionale. E’ ovvio che la riconversione di un’intera popolazione e delle vocazioni di un territorio non possono avvenire in tempi brevi, così come non è pensabile che ciò avvenga senza la necessaria riconversione di tutte le agenzie educative presenti sul territorio che, con la Scuola in prima linea, devono formare i presupposti culturali per questo cambio di mentalità.
Fra l’altro, proprio nell’ottica di un nuovo, forte rapporto col territorio, i Centri EDA risultano essere una “fetta” di quel grande, laborioso, impe-gnativo, stimolante, e se si vuole, intrigante «Pro¬cesso di autonomia” che la Scuola italiana incomincia a vivere.