IL MATERIALE E L'IMMAGINARIO NELLA CULTURA DEL MARCHESATO CROTONESE

A rivoluzioni

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Era da un bel pezzo che Ntoni avrebbe voluto tornare a casa, ma non osava decidersi. Un pò perchè in fondo il discorso lo interessava, ma anche perchè, in fondo, quelle ore della domenica mattina erano le uniche che si concedeva durante la settimana. Giginu, come il suo solito, stava tenendo banco; era sempre lui che teneva le fila del discorso, e non c’era verso di farlo star zitto, soprattutto quando l’argomento era quello della situazione dei contadini in questo lembo dimenticato della Calabria.
Lui aveva partecipato all’occupazione delle terre, aveva sfidato i carabinieri e i guardiani dei grandi proprietari, aveva conosciuto personalmente Di Vittorio e Fausto Gullo, non era un contadino qualsiasi come quelli che lo ascoltavano e che, manciapani a tradimiantu, avevano soltanto approfittato del sacrificio dei compagni per diventare proprietari.
Per la verità, Giginu si era trovato a diventare comunista e rivoluzionario suo malgrado. Che ne poteva sapere lui che quella mattina gli occupanti dei paesi vicini avevano deciso di occupare proprio il terreno dove lui era andato ad “espropriare” il suo sacco di olive per il vitto. Lui aveva scelto quel posto perchè di solito era il meno sorvegliato, essendo talmente fuori mano da essere dimenticato dai proprietari e dai guardiani.
Che ne poteva sapere lui che Peppi u Rocchisanu avrebbe scelto proprio quel posto per proporlo alla riunione che gli occupanti avevano fatto due sere prime a casa dello Sciancatu.
Quando quella mattina se li era trovati tutti intorno felici e contenti che anche uno di San Mauro aveva deciso di unirsi a loro per occupare il terreno vicino all’alivitu, non se l’era sentita di dire il vero motivo per cui si trovava in quel posto. A parte la delusione che avrebbe provocato tra quelle persone così entusiaste, c’era anche il pericolo che lo considerassero una spia con tutte le conseguenze del caso.
E poi, non era forse questa l’occasione che aspettava da una vita per dimostrare ai suoi compaesani di che pasta era veramente fatto Giginu Coraisima. Quale migliore occasione per dimostrare che la fame che portava scritta in fronte era solo il prodotto della sfortuna e non di mancanza di coraggio. Tutto il circondario avrebbe saputo che Giginu Coraisima aveva partecipato all’occupazione delle terre e il suo contributo era stato determinante per la riuscita dell’impresa e, cosa ancora più imprtante ai suoi occhi, era stato l’unico di San Mauro ad essere presente.
Ciò che più l’aveva convinto era stato però la costatazione che non c’erano ne militari e ne guardiani a contrastare l’impresa. La cosa si sarebbe risolta nella mattinata con il massimo del guadagno e il minimo delle perdite. 
E fù così che si era ritrovato con una zappa in mano intento a segnare il terreno che gli sarebbe toccato una volta finita “l’occupazione”.
Tutto quello che avvenne dopo, i Carabinieri da una parte e i guardiani dall’altra che li avevano circondati, i ferri ai polsi, le spinte per farlo salire sulla camionetta, le urla e le minacce che rintronavano nella caserma e nelle sue orecchie, lo sguardo luciferino del maresciallo che gli elncava i reati e le pene corrispondenti; tutto questo era un racconto che si era ingrandito ogni volta che lo ripeteva in piazza, e in ogni puntata si aggiungeva un personaggio che era intervenuto per difenderlo o per ringraziarlo della grande prova sostenuta. Così diventava normale che Di Vittorio si fosse recato personalmente in caserma per promettergli l’appoggio di tutti i compagni nella lotta per la sua liberazione, e non c’era niente di strano nel fatto che Fausto Gullo avesse lasciato in fretta e furia Roma per conoscere gli eroi di Serra Rossa e avesse voluto personalmente stringere la mano a quello che per primo era stato arrestato: Giginu Coraisima.
Del resto nessuno sapeva che erano stati trattenuti tutti soltanto per una sera e che avevano passato la settimana seguente nella sede della Camera del Lavoro di Crotone per evitare che altri atti sconsiderati facessero fallire la vera occupazione delle terre che sarebbe dovuta cominciare la settimana successiva.
E a nessuno sarebbe venuto in mente di raccontare della grande cazziata che avevano ricevuto dai veri organizzatori della protesta. C’era stato qualcuno che si era spinto a minacciarli di una sonora mazziata nel caso qualcosa fosse andato storto e qualcuno aveva anche riferito che Di Vittorio aveva manifestato la volontà di conoscere di persona quei grandi imbecilli che avevano compromesso il lavoro di anni.
Ma siccome tutto questo nessuno aveva interesse a raccontarlo fuori dalle mura  sindacali, Gigino stava tranquillo sulle possibili smentite alle sue epiche imprese e si permetteve il lusso di riscuotere ogni domenica l’unico guadagno di quella mattinata: il gusto di dire a tutti i suoi compaesani che era stato l’unico di San Mauro ad aver partecipato alla rivoluzione e come tale, doveva essere il più titolato a parlare di politica e situazione sociale.
Davanti a qualsiasi contestazione degli interlocutori la sua conclusione era sempre la stessa: “ia puazzu parrari picchì c’era, vua, u trenu i da rivoluzioni u ll’ati vistu mancu passari!
Ntoni sapeva la verità. L’aveva saputa proprio da Peppi u Rocchisanu ch’era diventato il suocero del figlio, ma si guardava bene dallo sbugiardare Giginu Coraisima per evitare di farselo nemico, che in fondo, da consigliere comunale gli poteva sempre servire, e poi perchè non gli dispiaceva vedere tutti quei sapientoni che si piegavano di fronte alla logica del suo amico.
Ed era quello il momento più bello della domenica, quando, nel ritornare insieme verso casa, potevano continuare a sfottere sulla cazzonaggine dei loro interlocutori; perchè era così che Ntoni Pitittu e Giginu Coraisima riuscivano a riempirsi la pancia anche di domenica.