Terrorismo … e basta
Prendo spunto dall’editoriale:
Illusionisti pericolosi: la parola terrorismo non va fatta sparire di Giovanni Sartori
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2005/07_Luglio/24/sartori.shtml
per fare alcune considerazioni su quello che sta succedendo in questi giorni nel mondo.
In modo particolare mi vorrei soffermare sulla definizione del fenomeno terroristico o sulle definizioni che i media si stanno affannando a cercare, pervasi, in molti casi, più dalla frenesia del sensazionalismo che l’obbiettivo delle tirature impone, che non da un’effettiva ansia di verità.
Dice Sartori:
“Sulla definizione del termine i giuristi ancora annaspano, e i dizionari fanno davvero acqua. Eppure la parola ha, per così dire, una sua evidentissima trasparenza semantica: indica un intento, l’intento di terrorizzare al massimo, con qualsiasi mezzo e senza limitazione di bersaglio, il maggior numero di persone possibili”.
Basterebbe fermarsi qui per avere un quadro di riferimento completamente diverso. Ma allora perché i media, i politici, gli analisti, i Vescovi,e gli “intellettuali” si affannano ad etichettare il fenomeno quasi a giustificarlo, sia in negativo che in positivo, concedendogli con questo una legittimità che nessuno a parole vorrebbe mai dargli.
Perché la definizione di “terrorismo islamico” presuppone che gli islamici siano in qualche modo fautori di questo fenomeno e di conseguenza rafforza gli autori delle stragi facendoli diventare il braccio armato di milioni di uomini che tutto vorrebbero meno che uccidere altri innocenti, qualunque fosse la religione o la condizione sociale di appartenenza.
Ma è proprio nell’etichetta, secondo me il problema.
L’etichetta divide il mondo e rende il fenomeno terrorista molto più grande di quello che in effetti rappresenta.
Definire il terrorismo per quello che in effetti è, come fa Sartori, permette di chiamare a raccolta tutto il mondo contro questi fanatici, e non solo una parte.
Significa bruciargli la terra sotto i piedi dovunque essi camminino. Significa riconoscergli lo status di esaltati mentali e in quanto tali magari bisognosi di cure psichiatriche, ma togliergli per sempre la possibilità di pensare di diventare eroi per qualcuno.
Smettiamola quindi di parlare di terrorismo islamico e cominciamo a parlare di terrorismo come pericolo planetario indipendentemente dalla nazionalità o dalla religione “professata” dai kamikaze.
Se è vero che con l’11 settembre è iniziata una guerra, dobbiamo convincerci che questa non ha coordinate geografiche ma soltanto mentali: è la guerra del fanatismo contro al libertà.
E la libertà non é valore appannaggio di una parte del mondo, è un valore che appartiene, o che tende divenire di tutta l’umanità, a dispetto di tutti i fanatismi.