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Laboratorio Marchesato

” Il gladio “

Un monumento che offende

Lo scrittore Giorgio Bocca, una delle voci più libere ed autorevoli dell’anti fascismo e della Resistenza, ha recentemente scritto su L’espresso che “nessuno, neppure un patriota gentiluomo come Ciampi, può chiederci di ammettere che noi partigiani e i fascisti di Salò eravamo la stessa cosa o di chiudere gli occhi sulla voglia di autoritarismo che serpeggia nel paese: le decine di amministrazioni che intitolano piazze e vie a personaggi della dittatura; il revisionismo storico che trasforma noti coltivatori ed aguzzini in cavalieri dell’onore; l’operazione di contrabbandare nell’informazione scampoli di fascismo e di far passare come anti comunismo la denigrazione della Resistenza, sono un dato di fatto di fronte al quale la vigilanza e la reazione delle forze democratiche appare sempre più debole e accomodante”. E come dargli torto?

Nello scorso mese di Ottobre anche a Crotone il Sindaco della città, Pasquale Senatore, nel piazzale antistante il campo sportivo, ha inaugurato una specie di monumento, eretto dall’amministrazione comunale di centro-destra sulla collina più alta del fondo Pignera, alla memoria dei ragazzi della Resistenza e della repubblica sociale di Salò.

Per placare la reazione degli oppositori, la manifestazione è stata preceduta da numerosi interventi sulla stampa tesi a chiarire che l’iniziativa del professore non era una provocazione ma un atto d’amore, un segno e solo un segno di pacificazione nazionale; e tra questi anche quello particolarmente licenzioso del professore Giovanni Malena: un vero trattato sugli zombi della sinistra e la loro atavica incapacità di cogliere ed apprezzare sentimenti come la pietà cristiana (ma oltre a quella cristiana quante altre pietà esistono? Ho sempre pensato che il sentimento di pietà fosse uno ed universale: scopro, ora, che oltre ad essere uno zombi sono anche un ignorante).

Però che furbacchione quel simpaticone di arbitro! Predica sentimenti di pace e di pietà e si comporta come un vecchio soldato di ventura armato di gladio che detta al nemico le condizioni della resa! Da ogni rigo traspaiono segnali inquietanti di guerra e le parole trasudano d’insofferenza, di disprezzo, quasi di odio, verso chiunque osa dissentire dall’iniziativa del signor sindaco.

Per non parlare di alcune altre”perle” di ragionamento che, pur di sostenere le scelte del sindaco, hanno scomodato quella bellissima poesia del principe De Curtis sulla morte e il generale Franco noto anche come il “macellaio” del popolo spagnolo. Conosciamo” A’Livella” (non di rado usata a sproposito, quando non anche in modo strumentale, col risultato di spostare i termini del confronto) e sappiamo anche del generale: come dimenticare il famigerato compare di Mussolini e l’amico di Hitler!

Con il loro aiuto ha represso nel sangue la giovane repubblica spagnola ed il suo legittimo governo; ha continuato a perseguitare e uccidere i suoi avversari politici anche molti anni dopo la fine della guerra civile (Julian Grimao Garcia, valoroso combattente della guerra patriottica e dirigente del partito comunista spagnolo, è stato condannato a morte e giustiziato 24 anni dopo la fine della guerra civile, esattamente nella primavera del 1963; mentre il giovane poeta Miguel Hernandez, ufficiale del famoso Quinto Reggimento, catturato dalla Guardia Civil alla frontiera con il Portogallo, è morto dopo atroci sofferenze nell’infermeria della prigione di Alicante, nel 1942, a soli 32 anni); ha costretto il meglio della cultura e milioni di persone a lasciare la Spagna e disperdersi per il mondo.

Ora qualche giovane sprovveduto ce lo indica invece come un esempio perché ha fatto costruire un immenso cimitero di guerra, che ha preteso fosse ricordato come “la Valle degli Eroi”, per seppellire i morti lasciati sul campo dalla guerra civile, quell’immane tragedia umana consumata nel cuore dell’Europa e della quale il generale porta intera la responsabilità. E’ uno spettacolo deprimente! Frammenti di ragionamenti acritici, pretestuosi e spesso anche osceni, messi insieme per distorcere le motivazioni del nostro dissenso sull’obelisco, che invece riteniamo fossero abbastanza chiare e puntuali, e alimentare tra la gente la confusione.

Tuttavia, a scanso di equivoci, pensiamo valga la pena ritornare sull’argomento per ribadire che la comprensione e, quindi, la nostra capacità di comprendere con umanità ed indulgenza gli altri e le loro azioni, e la pietà, questo sentimento di profonda delicatezza e commossa partecipazione alle sofferenze altrui, che è radicato dentro di noi e fa parte del nostro essere, sono estranee al dissenso che invece riguarda la sostanza di un’operazione decisamente perfida ed ingannevole, che persegue l’obiettivo di mistificare la verità e cancellare dalla memoria ogni traccia della sua possente presenza.

Tentare quindi, come si è fatto finora, di far credere alla gente il contrario è una penosa bugia, un vergognoso espediente per confondere le idee e offuscare la verità.

E’ fin troppo evidente che l’iniziativa di Pasquale Senatore non è il risultato del ripensamento critico di un uomo conscio delle sue responsabilità di educatore e del suo ruolo istituzionale, ma l’atto di un piccolo despota, capriccioso ed arrogante, contro il buon senso e la convivenza civile, destinato, oggettivamente, ad incentivare nell’opinione pubblica e tra le forze politiche e sociali la “cultura” della contrapposizione, preludio di altre e più profonde divisioni.

L’idea e la sua traduzione in quel mostruoso simbolo di guerra sono la risposta sbagliata ad un bisogno vero e diffuso, quello appunto della riconciliazione con la verità e la storia, pietre miliari nella Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza.

Chi persegue un obiettivo così impegnativo ed ambizioso non lavora nella clandestinità come piace fare al professore; al contrario cerca il confronto, ascolta pazientemente tutte le voci, chiede umilmente l’opinione e il conforto del popolo, rinunciando, anche solo per un momento, alla smania di mostrarsi sempre e comunque, e lavorando invece per essere e proporsi come soggetto vero e credibile del processo di riconciliazione.

È vero che la morte non fa distinzione di sorta, ma è anche vero che i morti non sono incolore, hanno un passato ed una storia: i ragazzi di Salò ed i ragazzi della Resistenza sono stati sepolti con le loro bandiere, i loro distintivi e le loro concezioni del mondo per le quali lottavano e morivano. E quelle concezioni erano e sono talmente diverse che nessun obelisco, neanche il più bello, può cambiarli: per i vivi è tutto diverso, ma per i morti in una trincea e per una ideologia il revisionismo, storico o politico che sia, non ha senso.

Ai ragazzi di Salò, che hanno avuto il torto di morire dalla parte sbagliata, come il giovane cuoco, cantato da Francesco de Gregori; e a quelli “terribili” delle formazioni della “Muti”, della “Decima Mas” e della “Folgore”; al Questore di Roma, quello appunto delle Fosse Ardeatine, e a tutti gli altri che hanno scelto di morire da delatori e spie dei nazisti, da torturatori ed assassini di partigiani, di donne, bambini e vecchi inermi, tutta la pietà possibile; ma che senso ha erigergli un monumento, se non quello di stravolgere la verità e giustificare le loro barbarie?

E allora se questa è la filosofia del professore Senatore e dei suoi amici perché non pensare di erigere un monumento,magari in uno spazio di quel bijou di piazzetta, si fa per dire, che sta sorgendo a via Torino, proprio d’avanti alla sua abitazione, anche a quel criminale del generale Kesserling? Dopo tutto, qual’è il problema? Anche Kesserling, come quelli delle brigate nere e della guardia nazionale repubblicana, ha ucciso, massacrato intere famiglie, sterminato ebrei, zingari e gay, per un’“idea ed una patria”.

E strada facendo non è da escludere che in qualcuno possa maturare l’insana idea di erigere anche a Portella delle Ginestre un obelisco che accomuni il bandito Giuliano ed i poveri braccianti massacrati quel primo Maggio dal suo spietato furore omicida!

E’ una storia allucinante che sembra inventata da una mente diabolica, dedita alla provocazione, per indispettire gli avversari e sfuggire all’appuntamento con problemi di grande rilevanza economica e sociale, quali lo sviluppo ed il lavoro, i servizi sociali, la devastazione del territorio e, quindi, l’abusivismo, la politica tariffaria, la scuola, l’igiene e la salute: forse è anche questo, ma c’è indubbiamente dell’altro.

La verità è che viviamo in una città assai distratta e con poca memoria; perciò è probabile che anche quando il professore si muove con la stessa delicatezza di un bisonte rinchiuso in una cristalleria e combina guai anche abbastanza seri, non avvertiamo il pericolo e la gravità della situazione.

L’obelisco è l’espressione di un doloroso ed agghiacciante retaggio del passato che, anche dopo 50 anni, ripugna la coscienza della società civile: il resto è solo menzogna! La menzogna, innanzitutto, di un uomo che non ha mai speso una sola parola o compiuto un solo gesto concreto e visibile che significasse condanna e, dissociazione dalle atrocità dei repubblichini, dei Franco, dei Pinochet o dei Kesserling!

Perciò a sentire quel ritornello assordante sulla pacificazione, contrabbandato come un atto d’amore verso i giovani, si prova sconforto e rabbia: ai giovani più che raccontare pietose bugie, bisognerebbe parlare con più rispetto della verità, lasciandoli liberi di riflettere, scegliere ed assumersi le proprie responsabilità.