BENVENUTI IN FRASQUI

C'E' SEMPRE UN MODO DIVERSO DI VEDERE LA REALTA'

Laboratorio Marchesato

  ” Il pane nero di Don Riccardo “

C’era una volta un contadino con una grande masserìa che, per quanto lavorasse, non riusciva ancora a mangiare pane bianco. Egli se ne rammaricava con sé stesso e la moglie:
– Da quando sono sposato con te, sto mangiando sempre pane nero. Perché mai? Eppure semino sempre grani scelti, raccolgo chicchi ben nutriti, curo il seminato, levo le erbe estranee, vedo sempre spighe tanto grosse da ammazzare una persona, perché non posso mai ottenerne pane bianco? Perché?-
La moglie osservò:
– Riccà… Se tu non recinti il campo di grano e permetti ad ogni viandante di entrarvi per lasciarvi le sue urine, puoi sperare che ne venga farina buona?-
Il massaro, non comprendendo quello che la moglie volesse realmente dire, si pose a guardia del campo con uno schioppo in mano e non vi fece avvicinare neppure gli uccelli. Accadde però che un giorno, un povero diavolo che passava nei paraggi, avvertisse il bisogno di defecare ed entrò nel campo di grano. ” “
Avendo visto da lontano ciò che quel povero diavolo si apprestava a fare, don Riccardo afferrò un’ascia e corse inveendo contro il malcapitato. Per quanto questi tentasse di scappare con i pantaloni in mano, don Riccardo lo raggiunse e gli si avventò addosso. Il povero diavolo ebbe il suo da fare per disarmarlo!
Dopo averlo disarmato, gli chiese il perché di quella reazione sproporzionata al danno che gliene poteva venire. In fin dei conti cosa aveva fatto di male? Meritava di essere ucciso solo per avergli concimato il terreno?
– Possibile che tu non voglia capire che per causa tua e di quelli che fanno i loro sporchi comodi nel mio seminato, io da quando mi sono sposato non riesco a mangiare pane bianco?-
– E chi ti dice che il pane viene nero per le feci e le urine dei passanti occasionali?-
– Mia moglie!-
– Bella esperta di tecnica agraria che deve essere la tua signora! Prendimi al tuo servizio e ti faccio vedere io, se a partire da domani tu non mangi pane bianco!-
– Magari tu fossi capace di tanto!-
– Te lo posso mettere pure per iscritto! Se tu mi dai vitto, alloggio ed ampia possibilità di movimento senza contrariarmi, d’ora in poi, mangerai sempre pane bianco! Se così non fosse, sarai libero di vendermi come schiavo e maltrattarmi quanto ti pare!-
– Se le tue pretese sono solamente queste ti prendo subito! Andiamo a casa affinché possa presentarti a mia moglie e impartire le disposizioni necessarie per il letto e i tuoi pasti!-
Arrivati a casa, don Riccardo presentò il nuovo servo alla moglie dicendo:
– Donna Mariàn…! Ho preso questo povero diavolo al nostro servizio. Trattamelo bene perché, a partire da domani, ha garantito di farci mangiare pane bianco!-
– E come si chiama?-
– Non deve essere il suo vero nome ma vuole essere chiamato Poverodiavolo o Maloservizio!-
Il mattino seguente il padrone si alzò presto. Legò la spesa e disse alla moglie che sarebbe andato con il servo a lavorare in un campo lontano dove n’avrebbe avuto per un mese. I due si avviarono per quella lontana località ma, appena fuori del paese, Maloservizio consigliò invece di recarsi nel campo più vicino perché c’era ancora un lavoretto da ultimare. I due avevano iniziato il lavoro da poco, quando il servo disse al padrone di proseguire da solo perché egli doveva tornare a casa per una commissione urgente e ne avrebbe avuto per due o tre ore.
Poiché la libertà di movimento faceva parte degli accordi, don Riccardo dovette acconsentire e gli diede il mulo per andare e tornare più in fretta. Maloservizio si avviò per il bosco e, per non fare un viaggio a vuoto, caricò il mulo con quattro fascine di pali aguzzi.
Arrivato a casa bussò alla porta. Donna Marianna che aveva invitato l’amante a gozzovigliare con lei, facendo affidamento sul fatto che il marito fosse lontano ed impossibilitato a tornare per lungo tempo, rimase sconcertata nel sentire la voce del servo e cercò di prendere tempo per far nascondere l’amante sotto il letto e il pranzo nel cassone.(3)
Maloservizio, vedendo che la porta tardava ad aprirsi, la spalancò con un calcio e, con una fascina di pali aguzzi sulle spalle si avviò in camera da letto. Donna Marianna tentava di impedirglielo facendogli notare che la legnaia era altrove. Il servo rispose:
– Padrona mia! Io non posso contraddire gli ordini di don Riccardo! Se mi ha detto di portarli in casa e di stirarli (4) ad uno ad uno sotto il letto, devo farlo!-
– Va bene! Va bene! Ma lascia che li sistemi io con tutto il tempo!-
– No! Il padrone ha detto che li devo sistemare io e non voglio disobbedirgli proprio al primo giorno!-
Senza badare alle proteste di donna Marianna che era divenuta bianca per la paura di essere colta in flagranza, Maloservizio cominciò a scagliare con violenza quei pali aguzzi sotto quel letto e don Giovanni, il malcapitato amante che vi si trovava, per timore del peggio, dovette sopportare che quei pali gli penetrassero nelle carni senza emettere un gemito. Appena finito di ammassare i pali sotto il letto, il servo chiese alla signora di dargli il pranzo da portare al padrone.
– Se mi avete detto di andare a Scurijanni e di fermarvi un mese, di conseguenza, quale pranzo posso aver preparato?-
– Signora, il rumore dei pali vi ha confuso le idee! Voi il pranzo l’avete preparato e lo avete messo nel cassone per ripararlo dalla polvere!-
– Si l’avevo preparato stamattina per Riccardo mio e ho dimenticato di darglielo!-
Senza neppure aspettare la risposta, Maloservizio, spalancò il cassone, mise tutto il pranzo nella bisaccia e si avviò in campagna. Don Riccardo, quando vide il servo che tornava con pane bianco e tutto quel ben di Dio, si meravigliò dell’improvvisa gentilezza della moglie. L’amante invece, reso malconcio dai pali aguzzi scagliatogli addosso da quel servo indiavolato e, contrariato per il pranzo mancato, appena poté corse a nascondersi in casa sua e per parecchio tempo evitò di tornare da donna Marianna per timore di qualche altra balzana idea di Maloservizio.ù
Passato qualche mese, donna Marianna ebbe voglia di rivedere l’amante e, sapendo che il marito non sarebbe tornato per almeno un mese, fece invitare don Giovanni.
Questi, per quanto esitante, accettò l’invito perché, in fin dei conti, la relazione durava da tanti anni e solo una volta aveva rischiato di essere sorpreso.
Quel compare don Riccardo meritava proprio un bel paio di corna se avendo una moglie così seducente la curava meno dei suoi campi di grano!
Nel frattempo, proprio mentre don Giovanni si recava da donna Marianna, Maloservizio diceva al padrone di dovere tornare a casa per una imbasciata urgente.
Preso il mulo, per non tornare a casa a mani vuote, vi caricò due sacchi di felci ed altrettanti di pulicarie. Arrivò a casa proprio mentre donna Marianna apparecchiava il tavolo e don Giovanni si apprestava a sedervi. Il servo bussò alla porta e la signora, capito di chi si trattava, fece nascondere l’amante nel camino.
Maloservizio, entrato in cucina, scaricò i sacchi di felci e di pulicaria nel camino e vi diede fuoco prima che la signora potesse impedirlo.
– Il padrone mi ha ordinato di affumicare i topi del camino e disinfettare la canna fumaria!-
Donna Marianna si sentì perduta ma, per sua fortuna, don Giovanni aveva più paura di lei e preferì sopportare fumo e calore anziché rischiare di finire certamente ucciso perché se non fosse l’amante della donna non avrebbe avuto bisogno di nascondersi in quel luogo! L’amante affumicato, scottato, stordito dall’acre odore della pulicaria e restato nuovamente digiuno a causa della impertinenza di Maloservizio, per parecchio tempo non ebbe più voglia di cercare donna Marianna ma poiché questa le inviava continui messaggi, un giorno incontrandola le disse:
– Donna Marià… Non chiedermi mai più di venire a casa tua! Se vuoi farti con me una mangiata in santa pace devi venire a casa mia o incontrarci dove Maloservizio non può trovarci!-
– Don Giovanni mio, voi avete ragione ma posso venire io a casa vostra senza far sparlare la gente?-
– Adesso si raccolgono le messi e tuo marito e Maloservizio n’avranno per un bel pezzo prima di farsi vedere in paese! Ad ogni modo prendi la strada dell’Uliveto. Se qualcuno t’incontra digli che vai a trovare tuo marito e vacci veramente. Se invece tutto fila liscio, devìa alla prima stradella e vieni a trovarmi sull’aia.-
– Ma in quella zona c’è anche l’aia di mio marito. Come faccio a capire dove sei tu e dove invece c’è lui?-
– Da tuo marito c’è un bue scuro, da me c’è un bue nero! Puoi venire tranquillamente senza timore di sbagliarti!-
Il mattino seguente la nobildonna caricò un mulo con prosciutti, pane bianco, soppressate e manicaretti vari e s’incamminò per la discesa dell’Uliveto. Maloservizio, accortosi del bue nero nell’aia di don Giovanni, smise di lavorare e corse a prendere un mantello nerissimo gridando:
– Padrone, padrone, lasciate riposare il bue e mettetegli addosso questo mantello per asciugargli il sudore o diversamente gli verrà un attacco di polmonite fulminante e muore proprio adesso che vi serve di più!-
Per quanto non credesse alle parole del servo, il padrone lo lasciò fare.
Donna Marianna mentre scendeva l’Uliveto, cercava con gli occhi l’aia col bue più nero.
Siccome il mantello di Maloservizio era più scuro e lucente del pelo del bue di don Giovanni, la signora indirizzò i suoi passi dove credeva di aver visto il bue più nero e si trovò vicino all’aia del marito prima di rendersi conto di avere sbagliato. Il servo le corse incontro dicendo:
– Ben venuta sia la padrona! Benvenuta padrona! Volete proprio bene a vostro marito per trattarlo con prosciutti e manicaretti!-
Continuando a fare i complimenti, Maloservizio scaricò il mulo prima che la signora potesse fiatare ed apparecchiò il pranzo sotto la loggia di un pergolato. La moglie fece buon viso a cattiva fortuna e si limitò adire:
– Riccà… Mi sembra di aver visto compare don Giovanni sull’aia vicina. Perché non l’inviti a mangiare con noi?-
– Maloservì… vallo a chiamare e digli di venire a mangiare da noi! –
Il servo si avviò ma, arrivato da don Giovanni, riferì:
– Ha detto don Riccardo di lasciargli la moglie in pace se non vuoi che venga con un’ascia per farti a pezzi!-
– E proprio a me dice queste cose! Con tante donne che ci sono è mai possibile che io voglia importunare la comare che tra l’altro mi è pure cugina?-
– Giustamente, alla cugina si tira per prima, ma non contare frottole perché la moglie gli ha detto tutto e, se gliene dai ancora motivo, ti liscerà veramente il pelo!-
Maloservizio tornò dal padrone per riferirgli:
– Don Giovanni non può venire!-
– E perché?-
– Gli si è rotta una stimèra (asse) del carro e se non la ripara non può tornare a casa!-
– Povero compare!… Riccà… perché non vai tu con l’ascia per aiutarlo a ripararla!-
Il marito mise la scure sotto l’ascella e si avviò mangiucchiando verso l’aia del compare. Questi, pensando che don Riccardo volesse ucciderlo, si mise a correre in mutandoni sul terreno accidentato, così come si trovava sull’aia. Il compare lo seguì finché poté, poi si convinse che don Giovanni era impazzito e tornò nella sua aia.
Marià… il compare dev’essere impazzito! Più mi avvicinavo per aiutarlo e più correva lontano come se vedesse uno spirito!-
Il servo rispose:
Padrò… è finito il mio tempo e non posso stare più con te! Prima di lasciarti voglio però dirti la verità!
Se non l’hai ancora capito, tu mangiavi il pane nero perché tua moglie si fregava di te e dava il bianco al suo amante, il tuo caro compare don Giovanni.
D’ora in poi se vuoi essere tu a zappare il tuo vigneto non ci sarà bisogno d’altro vignaiolo; diversamente le tue corna d’oro diverranno più lunghe delle mie che pure sono un diavolo!-
– Giovanni Bò…, ma se Maloservizio era un diavolo perché li ha aiutati a tornare sulla retta via, anziché lasciarli dannare? –
– Forse perché anche al diavolo non piace chi mette le corna e ancor meno i cornuti che non sanno di esserlo!-
– E cosa ha fatto poi don Riccardo?-
Don Riccardo divenne livido per la rabbia e avrebbe voluto uccidere la moglie ma un pensiero lo trattenne: Avrebbe trovato poi il coraggio di dire ai giudici di essere stato cornificato? No certamente! Poiché la paura di far conoscere la sua triste verità era più forte del prurito delle corna, preferì mettere alla moglie una cintura di castità, tenendo per sé le chiavi ma, dopo attenta riflessione, ricordandosi della sorella di San Martino che, secondo una leggenda, faceva le corna al fratello proprio sotto gli occhi senza ch’egli se ne avvedesse, decise ch’era meglio portarsi la moglie appresso per aiutarlo a lavorare. Con la schiena rotta e il marito pronto a levarle il prurito, anche la moglie non sarebbe andata più in caccia d’altri merli!” Il lavoro di Martino “Una volta, un forise di nome Martino venne a San Mauro in cerca di lavoro. Cominciò a gridare per tutto il paese:
– Chi vuole forisi! Chi vuole garzoni perché cerco padrone!-
Un funzionario regio gli chiese:
– Compà.., che vai girando con questa tramontana?-
– Cerco fatica!
– Il lavoro lo sparano tutti e tu solo lo cerchi? Ti vuoi accordare con me? Quanto vuoi al giorno?-
– Voglio solo mangiare, bere, dormire! Una mastra spesa per campare e un litrozzo di vino per bere!-
– Se tanto ti basta, vieni che ti faccio vedere la terra e poi ti porto a casa!-
Arrivato a casa, il funzionario disse alla moglie:
– Titì…, ti ho portato un campagnolo giovane, bello e valente che ci farà da garzone e lavorante solo per vitto, alloggio e una bottiglia di vino al giorno! Domani legagli una bella spesa e mandalo a zappare la vigna!- ” “
L’indomani però la padrona, ch’era la tirchierìa personificata e sapeva che simili persone non trovavano neppure il fiato per protestare, legò in una mappina un pezzetto di lardo, una cipolla e un tozzo di pane, e lo consegnò a Martino, come spesa, insieme con una brocca d’argilla piena d’acqua.
Appena arrivò in campagna, il forìse annusò l’anfora che portava con sé e disse a voce alta:
– Gumbuleddra mia, icchì ssi chjina, i vinu o i d’acqua? (Anforetta mia, di cosa sei piena, di vino o di acqua!)-
L’eco rispose:
– I… d’acqua!-
– Così è? Ed oje Martinu u zzappa! ( Così è? Ed oggi Martin non zappa!)
Si adagiò sotto il fico, mangiò quanto c’era nella spesa e si mise a dormire per tutto il giorno. Appena tornato a casa, la padrona non lo lasciò riposare un solo istante perchè lo mandò prima a prendere acqua alla sorgente, poi a foraggiare i cavalli ed infine a sbrigare altre incombenze. Quando finalmente poté sedersi al tavolo col padrone, per cenare in santa pace, questi gli chiese:
-Martì.., duvi si ccu l’anta? (Martino, fino a dove sei arrivato col lavoro?)
-A ra ficàra, padrùni! (Alla pianta di fichi, o padrone!)-
Le cose procedettero allo stesso modo per più giorni, fin quando non venne voglia al padrone di chiedere a Martino fin dove fosse arrivato con l’anta e non si sentì rispondere nuovamente che era ancora alla ficàra. Possibile che il lavoro non andasse avanti e stesse lavorando ancora intorno al fico? Se i forisi hanno sempre lavorato come dannati nelle nostre terre, era mai possibile che questo giovane dall’aspetto baldanzoso non ne fosse capace? Chi lo sa che la tirchierìa di donna Titina non c’entrasse in qualche modo? Per levarsi il dubbio, andò dalla moglie e le chiese:
– Titì.., ho l’impressione che Martino sia di cattivo umore. Cosa gli metti nella spesa?-
– Totò, cosa vuoi che gli metta? Una coda di cipolla e qualche pezzetto di lardo o tozzo di pane che ci resta dopo la cena! Se me ne ricordo, gli do una brocca d’acqua! Pensi forse che io sia una sprecona?-
– Che eri tirchia lo sapevo, ma non fino a questo punto! Se questo povero disgraziato accetta di lavorare gratis con noi purchè gli diamo almeno una mastra spesa e una bottiglia di vino, devi capire che per tenercelo buono devi dargli piuttosto qualcosa in più e non in meno! Con la coda di cipolla e la brocca d’acqua puoi sperare che un uomo trovi la forza per immergere ogni giorno nell’argilla, dalla mattina alla sera, una zappa di quaranta centimetri?! Domani sarò io a preparargli la spesa e tu bada a quel che faccio, altrimenti, se Martino se ne va, manderò te a zappare la vigna al posto suo!-
Il mattino seguente don Antonio legò nel tovagliolo della spesa, destinata a Martino, un pane bianco da due chili, un pezzo di formaggio, prosciutto e soppressata. La richiuse e gliela consegnò insieme con una brocca di ottimo vino. Arrivato in campagna, Martino aprì il tovagliolo, come era solito fare prima di lavorare e vide tutta quella roba. Diede avidamente un morso a quel ben di Dio e poi avvicinò la brocca al naso per chiederle:
– Gumbuleddra mia, i cchi ssi chjina? D’acqua o i vinu?- (Anforetta mia, sei piena di acqua o di vino?)
L’eco rispose:
– I vinu! (Di vino!)-
– Ed ojie sì ca zappa Martinu! (Ed oggi sì, che zappa Martino!)
Il garzone imbracciò quella pesante zappa e, in un paio d’ore scassò tutta la vigna. Quando il padrone lo vide nuovamente a cena, gli chiese:
– Martì…, come è andata oggi? Dove sei con l’anta?-
– A ra Cirasara, padruni! ( Al ciliegio, padrone!)-
– Possibile che in dieci giorni non sei riuscito ad allontanarti dal fico ed oggi, in una sola giornata, sei arrivato al ciliegio, all’altro capo della vigna?-
– Eppure esta veru! (Eppure è vero!)
– E come lo spieghi questo fatto?-
– Eu aju mu vu spiegu? Dumandatilu a ra padruna! (Devo pure spiegarvelo! Domandatelo alla signora padrona!)
– Mia moglie deve solo ascoltare la tua risposta!-
-Bonu! Si bbuliti mu senta, vi lu cantu! (Bene! Se volete che ascolti, ve lo canto!)
Sull’imbrunire, il forestiero si mise a canterellare:

E donn’Antoni vo mu cci lu cantu
ca la sua gnura se chiama-d-articχia
ca de fatica nun se gurda mai!
Hava l’ojjaloru ccu lu pizzu strittu:
*E don Antonio, vuol che glielo canti
Che la sua donna si chiama arraffatrice
e di fatica non si sazia mai!
Ha l’oliera con il becco stretto:

Para ca scunda ma nun cunda mai!
Mi minta-d- acqua e nu-d- assaggiu vinu.
Mi fa ri pani quantu nu fardicχiu
ca, ccu cinque o sia, nu mmi saziu mai!
Par che trabocchi ma non condisce mai!
Mi mette acqua e non assaggio vino.
Mi fa panini pari ad un fusello
che cinque o sei non sazierebber mai!

– Titì…, senti, senti! Prendi e porta a casa! Se non corri ai ripari, pure a Sant’Andrea sapranno che don Antonio Chiaravalloti è un signore ma sua moglie fa concorrenza alla mamma di San Pietro!-
Uscito in piazza per scambiare quattro chiacchiere, il forise non potè fare a meno di raccontare la sua esperienza ad alcuni giovinastri, i quali, volendo fare un dispetto a donna Titina, sull’imbrunire, le andarono a cantare, a voce alta, ciò che il forise aveva solo accennato. Don Antonio per impedire loro di continuare a cantare, fu costretto a farli salire in casa ed iniziare per essi la migliore botte di vino. Malgrado questa lezione, chi era Signore è rimasto tale e chi era solo tirchio non è divenuto mai prodigo!