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Laboratorio Marchesato

“ Intervista a Ciccio Caruso ”

I “fatti di Melissa”

Quali sono le circostanze che hanno portato la storia personale di Francesco Caruso ad intrecciarsi con quella collettiva di uno dei momenti più gloriosi vissuti dalle popolazioni del crotonese?

Ho cominciato a lavorare in fabbrica, alla Montecatini, che non avevo ancora quindici anni, come apprendista meccanico, perché allora per molti ragazzi, costretti a “chiudere” con la scuola, l’alternativa non era tra il diploma, la laurea o l’impiego pubblico come accade oggi, ma tra fare il manovale o imparare un mestiere. Io ho provato ad imparare un mestiere e fare il meccanico, almeno fino a quando mi è stato possibile, cioè fino alla primavera del 1949, quando, dopo una lunghissima lotta per l’occupazione e la sicurezza sul lavoro, sono stato licenziato in tronco per rappresaglia politica dalla direzione della fabbrica, insieme a due compagni, Enrico Beccuti e Nicola Gaetano.

Alla Montecatini avevo ripreso a lavorare nel 1947, dopo la parentesi bellica dell’ultimo conflitto mondiale, durante il quale avevo maturato una scelta politica ideale irreversibile, che mi aveva portato, al termine del servizio militare prestato nella “Regia Marina”, ad iscrivermi al PCI. Infatti, al momento del licenziamento dalla fabbrica, svolgevo la funzione di responsabile politico della Sezione Comunista Aziendale e per questo il PCI mi ha proposto di continuare l’attività politico-sindacale a Crotone, in attesa che la vertenza con la Montecatini si risolvesse.

Gli anni dal ‘47 al ‘49 erano stati una stagione eccezionale, intensa di emozioni, di lavoro e di “scoperte”: le fabbriche si erano nuovamente popolate, dopo la parentesi della guerra, e si erano un po’ alla volta trasformate in grande pensatoio, in cui si discuteva delle condizioni di vita e di sicurezza sul lavoro, del trattamento economico e dei diritti sindacali e politici. E tra i lavoratori incominciavano a delinearsi le prime rivendicazioni e le prime forme di organizzazione e di lotta.

Con questo spirito, resi propositivi dal gran fermento di idee in atto, io, Beccuti e Gaetano abbiamo accettato la proposta del Partito e messo in piedi un gruppo di una quindicina di persone e con esso abbiamo cercato di dare il nostro personale contributo, intellettuale ed organizzativo, alle lotte per la terra, che da qualche tempo si stavano attuando nel Marchesato.

Ritiene che il sindacato, di cui lei faceva parte, abbia svolto un ruolo importante nello sviluppo dei “fatti di melissa” e in generale nelle lotte dei contadini e dei braccianti?

La presenza dei dirigenti politici e sindacali di Cooperative, delle Commissioni interne e dei Consigli di fabbrica della Montecatini, della Pertusola, della Rossi e Tranquilli e delle miniere di San Nicola dell’Alto e di Strongoli è stata di sicuro fondamentale. Con il coinvolgimento della classe operaia infatti la lotta per la terra acquistò maggior vigore e visibilità politica, per cui alle rivolte dei singoli, dettate dalla fame e dal degrado economico, sociale e culturale, subito soppresse dall’intervento della polizia richiesto dagli agrari, si sostituisce la lotta unitaria e organizzata della popolazione rurale. Ci fu perciò un vero e proprio salto di qualità nella lotta, un salto di qualità di straordinaria importanza che segnò l’inizio di un rapporto

nuovo e fecondo tra la classe operaia e le masse bracciantili e contadine del Marchesato. Ciò ha significato per queste ultime espandersi nell’area sindacale, cioè incominciare a maturare la consapevolezza di essere una classe a se stante e per questo doversi attrezzare non solo di obiettivi, ma anche di strumenti.

Il merito di questo è derivato soprattutto dal patrimonio inestimabile di dirigenti politici e sindacali a cui è spettata la responsabilità di raccordare l’azione tra la direzione politica del movimento e le masse, organizzare le assemblee, proporre gli obiettivi, i tempi e le forme di lotta. Questi dirigenti sono stati la mente dei famosi Comitati per la Terra, la struttura organizzativa e politica di base, largamente unitaria, diffusa su tutto il territorio, che aveva la responsabilità di gestire un movimento decisamente imponente per partecipazione e impegno nella lotta, ma anche eterogeneo per estrazione sociale e politica, e spesso pervaso dalla passione e dalla insofferenza di tantissimi giovani che la guerra aveva plasmato a sua immagine e somiglianza.

A quella moltitudine di dirigenti di base si deve in definitiva il rivolgimento democratico e unitario di popolo che ha segnato nel pensiero politico e giuridico italiano una profonda svolta. Infatti per la prima volta nel nostro Paese, grazie soprattutto alla loro opera, una legge dello Stato stabilirà che la terra, avendo anche una funzione sociale, non si sarebbe potuta lasciare incolta e che la superficie posseduta dai singoli non doveva superare i trecento ettari. A seguito di tale legge di riforma agraria nel solo crotonese furono espropriati e assegnati a circa diecimila famiglie contadine oltre ottantamila ettari di terra.

Quali erano le modalita’ con cui le terre venivano occupate?

Quando i contadini e i braccianti hanno scoperto l’importanza dell’unità e dell’organizzazione e la lotta, da fatto episodico e spontaneo, si è trasformata in lotta organizzata per la terra e per la riforma agraria e hanno cominciato a credere nella possibilità che sulle terre incolte e mal coltivate, dove prosperava la rendita parassitaria e l’assenteismo dei padroni, si poteva, avendone pieno diritto, mettere radici, lavorare e produrre ricchezza per migliorare la qualità della vita loro e delle loro famiglie, hanno cominciato ad usare i “Decreti Gullo” e ad elaborare le carte rivendicative.

Comune per comune, nelle riunioni dei succitati Comitati per la Terra, si individuavano le terre da occupare, attraverso un’attenta riflessione, e si elaborava il piano dell’occupazione. Quindi si coinvolgeva il grosso delle masse contadine e si fissava un periodo di tempo entro il quale passare all’azione. Nel frattempo il PCI e il Sindacato ( Federterre, Camere del lavoro ) coordinavano i tempi e i modi per la lotta tra i vari comuni del Marchesato, così da avere una simultaneità nell’azione. Nel momento in cui era tutto pronto i terreni prescelti venivano presi d’assalto dai braccianti e dai contadini, con al seguito donne, bambini e animali, poi si passava immediatamente all’aratura e alla semina della terra occupata.

Con questa fase si avanzava contestualmente la domanda di concessione delle terre occupate alle Commissioni per l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate istituite dal Governo, di cui facevano parte rappresentanti degli agrari, dei contadini e dei braccianti, e alcuni esperti sull’argomento.

La chiesa in generale e i singoli sacerdoti in particolare che rapporti hanno mantenuto con i contadini e i braccianti in lotta?

Con le masse rurali in lotta c’era indubbiamente l’Episcopato Meridionale che considerava il latifondo un fatto immorale, condannava gli eccidi dei contadini e dei braccianti e reclamava per loro più giustizia sociale. Ma non c’era purtroppo la Chiesa del Marchesato che, salvo rare eccezione, come don Ciccio Parise a Le Castella, per fare un nome per tutti, era dall’altra parte, spesso a sostenere la rendita parassitaria dei grandi agrari, e non piuttosto a dar man forte ai poveri cristi in carne ed ossa che occupavano la terra e lottavano per liberarsi dalla schiavitù, anche psicologica, del latifondo.

E con le masse rurali in rivolta non c’erano neppure i “frati volanti” del cardinale Lercaro, che sulle loro rombanti motociclette giravano per il territorio crotonese non tanto per predicare e diffondere il Vangelo, che avrebbe dovuto essere il loro compito principale, quanto per puntellare quel carrozzone dell’Opera Sila, che insieme alla “bonomiana” e la P.O.A. era impegnato invece a contrastare lo sviluppo della lotta e la crescita della sinistra comunista e socialista.

Infatti nel corso delle lotte, ma specificamente dopo l’avvento della legge di riforma, la Democrazia Cristiana, che era il partito di Governo, e parte notevole del Clero locale hanno utilizzato tutti i mezzi possibili e il loro potere, dall’Opera Sila appunto alla Coltivatori Diretti, dal pulpito delle chiese alla fede religiosa, fino alle istituzioni per bloccare proprio l’espansione della Sinistra e contenere la frana del blocco agrario.

Si sono vissuti momenti in cui vi era un vero e proprio clima di intolleranza politica e religiosa, a mio avviso al limite della legalità costituzionale. Un clima in cui la democrazia e la libertà personali erano sistematicamente prevaricati ed essere socialisti o comunisti era assai difficile, sia per la ricerca e il mantenimento di un posto di lavoro che per ottenere incarichi di responsabilità nella pubblica amministrazione, che per fare il carabiniere, il poliziotto o il finanziere, per ottenere il passaporto o semplicemente poter praticare i sacramenti cristiani, quali il battesimo, la confessione o il matrimonio.

Qual e’ stato il contributo delle donne alle lotte?

Alle donne, splendide compagne dei loro uomini nella lotta e nell’esistenza, probabilmente è toccato pagare il prezzo più alto a quei momenti di rivolgimento popolare diretti a modificare le condizioni di vita nelle campagne e spianare la strada della riforma agraria.

Le donne infatti, dovunque la protesta era più forte, non si sono mai tirate indietro ed hanno combattuto a fianco dei mariti, dei figli, dei padri. Come a Crotone, dove una rivolta popolare contro gli agrari che imboscavano derrate alimentari per dirottarle verso il mercato nero ha visto tra i moltissimi arrestati anche alcune donne. O a Petilia Policastro, dove i carabinieri hanno sparato sulla folla durante alcuni disordini e sul selciato della piazza sono caduti, colpiti a morte, un uomo ed una donna. O ancora a Calabricata, dove Giuditta Levato periva sotto i colpi di fucile del fattore di un barone con il figlio che portava in grembo oppure a Melissa, che vedeva tra le sue vittime la giovanissima Angelina Mauro, insieme a Giovanni Zito e Francesco Nigro.

Angelina Mauro, diventata poi il simbolo delle lotte per la terra, per la verità non morì subito, sotto i colpi sparati da un reparto speciale della Celere proveniente dalla Puglia, sul terreno incolto del marchese Berlingeri, terreno che aveva occupato con i suoi compagni. Ma viene trasportata all’ospedale di Crotone e qui muore. Muore per un pezzo di terra, un pezzo di terra che ha sognato per sé e il suo fidanzato a Fragalà.

Il bisogno di possedere anche una sola manciata di terra, poterla calpestare e seminarci un pugno di grano era stato più forte della paura della gendarmeria di Scelba ed ha fatto di questa ragazza, figlia di un povero sacrestano, una eroina.

Ma non sono state soltanto le donne dei contadini a partecipare intensamente a queste lotte.

Ci sono state tante altre donne, lontane dalla Calabria per storia e tradizioni, che sono volute venire qui nel Marchesato per vivere con la popolazione del posto il suo periodo più intenso e più bello di conquiste politiche e sociali. Un periodo per cui Melissa e la Calabria sono diventate famose in tutto il mondo. E queste donne si sono innamorate sia di Melissa che della Calabria, tanto da non dimenticarle più.

Alcune di loro, come Luciana e Tea, le ho conosciute personalmente. Due eccezionali donne piemontesi, entrambe comuniste come me. Donne che hanno saputo vivere stagioni molto intense di impegno politico. Di altre ho raccolto soltanto i ricordi dei compagni di lotta.

A seguito di queste lotte, a Crotone e nel Marchesato giunsero un po’ da tutta Italia alcuni famosi intellettuali del tempo. perchè questo interesse per la nostra terra?

E’ stato merito dell’intelligenza e dell’impegno di un “regista” di eccezionali qualità umane e politiche come Mario Alicata, segretario regionale del Partito Comunista se finalmente il grosso della cultura e delle forze produttive e sociali dell’Italia “scoprivano” Melissa e la Calabria mentre noi acquistavamo degli alleati nuovi e importanti, fino ad allora inaccessibili, per proseguire più speditamente sulla strada del cambiamento.

I fatti di Melissa e l’invenzione del Premio Letterario della Città di Crotone avevano infatti aperto un varco nel muro dell’incomunicabilità che da sempre separava il territorio crotonese e la Calabria dal resto della Penisola. E noi sapevamo bene quanto fosse importante l’apporto degli intellettuali, del mondo della cultura, della borghesia illuminata insieme a quello della classe operaia per mantenere aperta la strada dell’iniziativa e della lotta e spostare più avanti e più in alto il livello del confronto con un sistema di potere iniquo e refrattario ad ogni forma di innovazione e di crescita civile.

E così per anni scrittori, poeti, editori, artisti e registi, come Giacomo De Benedetti, Giuseppe Ungaretti, Leonida Repaci, Alberto Moravia, Pierpaolo Pasolini, Carlo Emilio Gadda, Leonardo Sciascia, Ernesto Treccani, Ignazio Butitta e Zanotti Bianco seppero cogliere e trasmettere messaggi di cultura e di solidarietà, che permisero di colmare quel vuoto di informazione e di partecipazione dell’opinione pubblica nazionale al processo di rinnovamento e di trasformazione della Calabria e del Mezzogiorno avviato con le lotte per la terra.

Tra tutti vorrei ricordare, in maniera particolare, uno solo di questi intellettuali, Ernesto Treccani, figlio del senatore Giovanni Treccani, l’industriale tessile lombardo fondatore della prestigiosa Enciclopedia Treccani”.

Ernesto è il pittore del famoso dipinto “La terra di Melissa”, che si trova nella Sala Consiliare del Palazzo del Comune di Crotone, ed è stato fin da subito il cantore della straordinaria lotta di emancipazione dei braccianti e dei contadini del Marchesato. Era giunto qui nel cuore del latifondo da Milano subito dopo l’eccidio di Melissa e per molti di noi era soltanto un giovane intellettuale passato dalla parte del proletariato e delle sue rivendicazioni. Voleva sapere tutto di noi, capire le ragioni di quelle lotte di terra e di libertà, soddisfare l’enorme bisogno di conoscere la gente, esprimere lo sdegno per quei morti uccisi a “Fragalà” dalla polizia di Scelba.

Noi invece scoprimmo un po’ alla volta in lui l’amico e il compagno, che sognava proprio come noi di cambiare il mondo con la passione rivoluzionaria che covava dentro.

Perchè dopo le lotte per la terra e la conquista della Riforma Agraria ci fu il più grande esodo di masse contadine verso il Nord che la storia del mezzogiorno ricordi?

Il governo di centro-destra di Alcide De Gasperi non poteva tollerare oltre la presenza del latifondo, poiché questo era causa dell’evidente disagio economico e culturale in cui versavano la stragrande maggioranza delle classi meno abbienti. De Gasperi fu quindi “costretto” in qualche modo ad emanare una legge di riforma agraria, in quanto misura utile soprattutto per calmare gli animi dei contadini in rivolta e smussarne la lotta, che ormai aveva toccato l’apice.

Ma l’obbiettivo di De Gasperi non era tanto quello di mettere mano e varare dei provvedimenti che trasformassero l’agricoltura nel Marchesato, nel latifondo, quanto piuttosto quello di contemperare i cedimenti del blocco agrario, che era entrato profondamente in crisi e correva il pericolo di disfarsi. Per questo contro la proposta della Sinistra di portare la proprietà terriera personale a un massimo di 50 ettari, il governo spostò questo limite a 300 ettari. I grandi agrari chiaramente si affrettarono a risolvere tutto dividendo il loro latifondo tra il parentado, scavalcando così il provvedimento.

E’ vero, come ho già detto prima, oltre 76 mila ettari furono espropriati dall’Opera Sila e dati a circa 12 mila famiglia, ma questo portò soltanto alla formazione di aziende medie contadine di circa 3 o 4 ettari di terreno, spesso difficili da coltivare, mancando agli assegnatari spesso l’esperienza e i mezzi per farlo.

Fu questo il fallimento della riforma agraria, dovuto prima di tutto alla Democrazia Cristiana e al governo di De Gasperi che, ormai in profondo dissenso con don Luigi Sturzo, liquidavano la politica agraria del Partito Popolare per una politica più liberale e liberista, più congeniale al disegno di svuotare la riforma di ogni contenuto di rinnovamento economico e sociale.

Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che sotto la spinta della ricostruzione postbellica le fabbriche del Nord avevano ripreso a lavorare a pieno regime e abbisognavano di manodopera, ci spieghiamo con facilità il motivo per cui i contadini si sentirono quasi costretti ad abbandonare la prospettiva di possedere un pezzo di terra con cui procurare da vivere in maniera dignitosa alle proprie famiglie e abbiano intrapreso il “viaggio della speranza” per il Settentrione d’Italia.

Quale e’ stato il suo ruolo in quei giorni cosi’ intensi ed importanti per la storia del nostro territorio?

In quegli anni Crotone e il Marchesato sembravano un vulcano in piena eruzione e la lotta delle masse lavoratrici si diffondeva proprio come lava incandescente dalla città alle campagne, dalla classe operaia al mondo bracciantile e contadino. Alla radice di questo vulcano, vi erano centinaia di coraggiosi impegnati ad “attizzare” il fuoco e gestire la lotta, costruendo cooperative agricole, Camere del Lavoro, e Federterre. E tra questi c’ero pure io.

Prima di Melissa sono stato infatti a dirigere le lotte per la terra come responsabile delle associazioni contadine e bracciantili, in cui avevo compiti politici determinati, ad Isola Capo Rizzuto, Cutro, San Mauro Marchesato, Rocca di Neto nel Crotonese.

Subito dopo Melissa sono stato incaricato di coordinare a livello regionale la Federbraccianti, quindi l’associazione provinciale dei contadini del Mezzogiorno d’Italia, di cui sono rimasto alla testa fino al 1956.

Nel 1951, nel corso della campagna per la pace, sono stato arrestato ad Isola Capo Rizzuto e tradotto nelle carceri di Poggioreale a Napoli per essere processato dal tribunale militare. Mi si contestavano infatti i reati di incitamento alla sovversione e alla diserzione dell’obbligo militare, nonché quello di vilipendio alle Forze Armate e al Governo. Nel mio caso, per la prima volta in tempo di pace, un civile fu sottratto al suo giudice naturale, la magistratura ordinaria, e processato da un tribunale militare. Tra gli operatori di giustizia furono in molti a giudicare tale decisione come un gravissimo atto di prevaricazione delle prerogative dello stato di diritto e della costituzione repubblicana. Così come furono in molti tra i sindacati, le forze politiche e culturali a dichiarare il proprio dissenso contro la determinazione del tribunale militare. Tanto che al collegio di difesa per il processo aderirono gli onorevoli Leone della DC ( che in seguito è stato uno dei nostri presidenti della Repubblica ), Reale del PRI, De Caro del PLI, Gullo e Palermo PCI. Dopo oltre sei mesi di carcere, nel settembre del 51 sono stato assolto, perché i fatti contestati non sussistevano, per essere di nuovo arrestato dopo pochi giorni a Borgia, nel Catanzarese, alla vigilia dell’occupazione delle terre del barone Marra. Celebrato il processo, fui liberato dopo un mese e mezzo con una trentina di compagni, mentre altri restarono in carcere perché condannati.

Nel frattempo a Crotone nasceva la federazione del PCI, grazie anche al mio impegno e a quello di altri compagni. Questa federazione, un po’ anomala in quanto nata in una cittadina che allora non era ancora capoluogo di provincia, è stata da me diretta dal ‘56 al ‘63.

Nel 1953 a Cotronei, a conclusione di un comizio contro la “legge truffa”, sono stato arrestato per la terza volta per sobillazione e vilipendio al governo e scarcerato, dopo alcuni mesi di detenzione, perché i giudizi che avevo espresso nel corso dell’assemblea pubblica non costituivano reato, ma legittimo esercizio del diritto di critica.

E’ stato sicuramente un periodo difficile, per le ritorsioni e l’intolleranza imperanti nei confronti della Sinistra e le ricorrenti campagne anticomuniste, aspre e dissennate, spesso si concludevano con processi sommari. Gli effetti di tutto questo sono stati devastanti e nel tessuto sociale hanno prodotto profonde lacerazioni, ritardando il processo di crescita umana e civile delle nostre popolazioni.

Ma nonostante tutto, amarezze e delusioni comprese, quella lotta resta integra. Ed è una pietra miliare della storia d’Italia. Scritta da noi.