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Laboratorio Marchesato

“ Il petilino innamorato ”

Tanto tempo fa, Peppe Pace, un giovanotto di Petilia Policastro che faceva lo sportaro, si era trasferito a San Mauro ma, essendo forestiero e poco noto, gli affari non gli andavano bene.
Sapendo che il dialetto petilino è alquanto diverso dal nostro nelle inflessioni, alcuni burloni del paese vollero stuzzicarlo per obbligarlo a rispondere a frasi simili a queste:
– Maestro, è vero quanto dice il vostro paesano don Genio che è andato a Pagliarelle, a Mesoraca, a Petronà, persino ad Andali ed ancora oltre, ed ha trovato sempre terra e la Terra è più grande di tutti questi paesi messi insieme? …. E’ vero che il prete di Policastro è scappato con una monaca di Mesoraca?…. E’ vero che a Policastro una donna ha ucciso la moglie? … E’ vero che al vostro paese adoperate i salami come pastoie per gli animali?-
Tutte queste domande erano prive di senso e servivano solo a provocare la risposta dell’interpellato ma il petilino, che non era un grullo, intuendo che quella era una buona opportunità per farsi conoscere, rispose per le rime, in modo brioso e piacevole. ” “
I burloni, avendo compreso che il giovane sapeva stare al gioco ed era amante della compagnìa, lo fecero entrare nella loro cerchia e ogni sera andavano a portare serenate d’amore o di dispetto alle ragazze del paese in cambio di qualche buon boccone di prosciutto o soppressata e di un bicchier di vino.
Un bel giorno però, al gruppo dei suoi amici, venne l’idea di fargli trovare una fidanzata. Tanto insistettero che anche egli finì col convincersene perché, in un periodo di borsa vuota e quattro di questi, ossia di fame e mezze misure, egli avrebbe potuto procurarsi clienti, vitto, alloggio, assistenza e passatempi piacevoli. Ma… quale ragazza l’avrebbe accettato per fidanzato?
Il giovane non disperò.
Cominciò a girare tutte le vie del paese per guardare le ragazze e si accorse che quelle che gli piacevano erano tutte già sposate, fidanzate o impegnate. Solo una di queste sembrava non avere pretendenti. Si decise perciò a rivolgersi ad una donna, che viveva nei paraggi, per avere informazioni.
La donna gli rispose:
– Figlio mio, frequenta chi è migliore di te, anche se devi far loro le spese! Con tante ragazze che ci sono, proprio alla sua porta dovevi fermarti?! –
– Zià…, perché mi rispondete così? Questa ragazza cos’ha che non va?-
– Stella Diana, poverina, è buona e gentile ma ha il torto di essere sorella a quattordici elementi che sono la vergogna del paese!-
– E dove potrei trovare questi quattordici fratelli per dire loro due paroline a quattr’occhi? –
– Figlio mio, vai cercando la ciuccia? Vuoi finire morto ammazzato! Ti sei stancato di vivere o vuoi sprecare la gioventù per quella gramigna che neppure il fuoco riesce a sdirrazzare (estirpare)?-
– Zià…, voi non dovete preoccuparvi! A me non succederà nulla! Dovete solo dirmi dove posso trovare i suoi fratelli e da cosa posso capire di avere a che fare con questi signori!-
– Figlio mio, fai come vuoi! Se proprio sei deciso, essi si trovano, dalla mattina alla sera, in quella bettola! Basta che tu entri e, tutte le facce da galere che trovi, quali con gli occhi storti, quali con la faccia tagliata, quali con i baffi arricciati o le basette lunghe, quali con i tatuaggi sulle braccia… quelli sono i signori che tu cerchi! Dio te la mandi buona perché, da parte mia, ho fatto il possibile per allontanarti da essi.
Poi… uomo avvisato, mezzo salvato ed ognuno è libero di impiccarsi con le proprie mani!-
A partire da quel momento, il petilino e la sua compagnia, passò ogni sera per la strada della prescelta, cantando serenate senza mai fermarsi. Le ragazze affilavano le orecchie ma non riuscivano a capire a chi fossero destinate. Dopo aver creato il clima d’attesa, il petilino trovò finalmente il coraggio di entrare nella bettola per parlare con i fratelli della sua prescelta e, appena varcata la soglia, ordinò:
– Quindici bicchieri di vino!-
– Se tu sei solo, con la penuria d’acqua che c’è, mi devi pure sporcare quindici bicchieri? Non ti costa di meno comprare un’intera bottiglia con un solo bicchiere?-
– Con i miei soldi, posso fare quel che voglio? I soldi sono qui! E tu sbrigati a mettere su l tavolo un bicchiere per me e gli altri per questi signori!-
Uno dei quattordici fratelli, quello che si considerava il capo, guardando con gli occhi storti quel forestiero che li invitava a bere senza prima chiedere il suo permesso, gli disse:
– Amico, ti sei stancato di campare? Sparisci da qui prima di farti capire chi comanda!-
– Piano! Piano con le parole! Altrimenti, per Santo Antèro, contro il bastone chiamo la fibbia! (1) Di offendere, io non ho offeso alcuno! E’ male offrire un bicchiere di vino? Io penso che sia segno di gentilezza e non di offesa?-
– Di quale fibbia parli? Ad offrire non c’è nulla di male ma cosa c’è dietro l’offerta di quel bicchiere di vino?-
– Dato che siete arrivati al dunque, io appartengo alla fibbia di Pandigrano e vorrei fidanzarmi con vostra sorella!-
– Ma ti sei mai guardato allo specchio? A qualunque fibbia tu appartenga, credi che mia sorella possa accettare per fidanzato un morto di fame come te?-
– Questo è da vedere! Ad ogni modo, se siete disposti a giocarvi cento tornesi per uno, ci scommetto la testa che lei mi accoglierà a braccia aperte, non appena mi presento!-
– Se la pelle ti preme tanto poco, accettiamo la scommessa!-
– Bene! Allora io stasera mi recherò per cantarle una serenata. Voi nascondetevi nei paraggi e, senza farvi vedere, osservate attentamente cosa vi combino!-
Il petilino, di sera tardi, cominciò a cantare la serenata sotto il balcone della prescelta:

A lunga strata fici na salita
Arrieti sa porta fici na firmata.
La fici tantu beddra e dilicata
ca la prisenza mia fu canusciuta.
Dopo lungo cammino, giunsi a una salita
ma dietro la tua porta, feci la fermata!
L’ho fatta con modi belli e delicati
che la presenza mia fu apprezzata.

(Bussa al portone della prescelta)

Tuppi! Tuppi!- Chin’èdi a ssu purtùni?
Apera ca sugnu ia, faccia di luna! –
Forse sgajjasti a porta o la pirsuna,
ppi nni cci appizzi a peddri oppuri a lana!-
Toc! Toc!- Chi bussa al mio portone?-
– Apri chè son io, stella Diana!-
– Forse sbagliasti porta o persona,
bada a non perdere la pelle o la lana!

I lana signu vistutu e no di sita,
perciò ti parru ccu ssa lingua sciota:
“Giuvini mia galanti e sapurita,
i l’acqua tua vorra vìviri na vota!”
Di lana son vestito e non di seta
e perciò ti parlo con questa lingua sciolta:
“Ragazza mia elegante e appetitosa,
dell’acqua tua vorrei ber per una volta!

Chi ba faciendu, giuvini galanti,
ca a ri mura mia veni i luntanu?!
Nu tti fermari ca sutta a mi cantàri,
si i manu i di frati mia nu bua pruvari!
Che vai facendo, giovane galante,
che alle mura mia vien da lontano!
Non ti fermare qui sotto per cantare,
se le mani dei fratelli miei non vuoi provare!

Si frati tua fussaru lijuni
E ri petri i da via spati e curtedδra,
a ri tua frati ia cuonzu a ru stacciuni,
ppi mi gudìri a ttia, gioiuzza beddra!
Se i fratelli tuoi fosser leoni,
e le pietre della via spade e coltelli,
io metterei in riga i tuoi fratelli,
per godere io di te, gioiuzza bella!

Siccome il giovane, incurante delle minacce, riprende a cantare a squarciagola, la ragazza per non far sentire l’alterco ai vicini o perché conquistata dal giovane temerario che rischia la vita per lei, lo fa entrare in casa, raccomandandogli:

Trasa giuvini mia, trasa avirtiendo
ppi nnu si vistu da li mia vicini
ca tàjjanu cumi a spata i du Meschinu!
Entra, giovane mio, entra badando
a non farti vedere dai vicini
che tagliano come la spada del Meschino!

Il petilino entra in casa e si dirige al piano superiore dove c’è la camera da letto. Spalanca la finestra e, rivolgendosi ai quattordici fratelli che spiano senza farsi vedere, grida loro ad alta voce:

Picculi e randi, vinitimi a sintìri!
Amu na donna ccu nu cori i liùni
che, ccu li mia farsi inganni e tiranniji
ve la purtài appriessu a li mia turtùri!
Piccoli e grandi, venitemi a sentire!
Amo una donna dal cuore di leone
che, con i miei falsi inganni e prepotenze,
io ho portata alle mie manìe!

La carrozza, all’irtu si trattena
ma, a ru pindinu gran furia pijja!
Si nun cirniti bona la farina,
lu pani lu manciati di canijja!
La carrozza in salita si trattiene,
ma , in discesa, gran furia prende!
Se non cernete bene la farina,
il pane lo mangerete di caniglia!

Moni viniti a mmi portari li turnisti
ca l’ura è tarda e mind’haju jìri!
Adesso venite a portarmi i tornesi
perchè l’ora è tarda e me ne devo andare!

Uno dei fratelli risponde con parole e versi inventati per la circostanza:

Certu, cà, su pronti tutti li turnisi!
Ma, mo chi n’ha fattu chissa beddra scola,
ccu diddra t’haddi passari a verniòla!
Certo, eccoli qui! Son pronti i tornesi
Ma, adesso che ci hai fatto questa bella scuola,
con lei ti deve passar la verniòla!

Resta mo ddruocu, a fari cumpagnìa
a chissa suoru, c’ha vulutu a ttìa!
Resta mo ddruocu, ca mo t’ha spusari
cu chini nu circavi ppi cummari!
Resta ora qui, per fare compagnìa
a questa sorella che ha voluto a tia(te)!
Resta ora qui, perché devi sposare
colei che non cercavi per comare!

Potete continuare a leggere altri racconti recuperati dalla tradizione del Marchesato Crotonese dal Prof Giuseppe De Lorenzo sul suo sito:
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