IL MATERIALE E L'IMMAGINARIO NELLA CULTURA DEL MARCHESATO CROTONESE

Rettangoli di memoria – Il libro

MOTIVAZIONI PERSONALI

Debbo aggiungere a quanto detto una serie di considerazioni che possono contribuire a spiegare meglio le motivazioni personali che devono pur esserci in una ricerca, qualunque esso sia lo strumento di indagine o l’argomento prescelto.

La prima di queste riguarda me personalmente e il mio rapporto con la cultura contadina, della cui importanza, e forse, in un certo senso della stessa esistenza ho potuto rendermi conto, paradossalmente, negli anni trascorsi a studiare al nord.

La Scuola, parziale e legata alle mode del momento, mi aveva fatto vedere, del mondo in cui ero nato solo gli aspetti negativi con tratti caratteristici che sembravano essere solo la miseria e la mancanza di prospettive per il futuro. 1 libri di testo disegnavano, anche iconograficamente, un mondo contadino meridionale arretrato, incolto e poco adatto alle possibili prospettive di sviluppo: al nord c’erano gli eroi, mentre al sud esistevano i briganti e quando andava bene i rivoluzionari straccioni alla Masaniello; al nord la meccanizzazione dell’agricoltura e al sud ancora col “ciuccio” e tutto questo, ovviamente, per colpa di un’indole caratteriale a noi trasmessa geneticamente dalla lunga dominazione di una stirpe Spagnola indolente e poco propensa verso qualsiasi idea che riguardasse ipotesi di sviluppo e di crescita sociale. Bisognerà aspettare la fine degli anni 70 per poter trovare, nei libri di storia scolastici, analisi del fenomeno meridionale meno superficiali e tendenziose che, guarda caso, erano già state elaborate in epoche di molto antecedenti ma non avevano mai trovato canali di divulgazione adeguati. Con questo bagaglio di certezze molti di noi sono partiti per trovare nella “terra promessa dello sviluppo” la soluzione dei problemi e quale fu la mia sorpresa nello scoprire che ì contadini delle Langhe piemontesi, o quelli del territorio interno ligure, per non parlare dei veneti, erano del tutto simili a quelli che avevo lasciato e, per alcuni aspetti, sotto il profilo caratteriale, molto meno aperti alle innovazioni del progresso tecnologico che avevano la possibilità di osservare da vicino e senza intermediari mediatici.

Quello che per il contadino meridionale rappresentava la possibile alternativa alla fame, per questi era invece sfruttamento sistematico e annullamento della personalità. Loro, che avevano la fortuna di essere osservatori diretti di questa faccia della medaglia, vi contrapponevano l’orgogliosa presunzione di libertà che il lavoro dei campi poteva garantire rispetto alla catena di montaggio. Tutto questo era stato possibile solo grazie ad un tessuto sociale indubbiamente più evoluto rispetto ad un mondo in cui la piccola proprietà terriera non era mai esistita e tutto sì esauriva storicamente nella schiavizzazione delle classi più deboli. Ma tutto questo non aveva niente a che vedere con la genetica.

Il passo successivo doveva allora essere, quello di riuscire a scoprire, assodato il diverso e naturale sviluppo storico, quali potevano essere i valori unificanti sui quali lavorare per tentare di spezzare le catene della fame e dell’ignoranza nelle quali senza colpa ci siamo trovati a nascere e a sopravvivere. Tra ì tanti, simili ma non del tutto comparabili, per tutta una serie di motivi che sarebbe troppo lungo spiegare in questa sede, uno emerge con sicura assonanza: il lavoro o, ancora meglio, la consapevolezza che il lavoro rende l’uomo libero dalla schiavitù e dalla fame.

Sembra la scoperta dell’acqua calda, e un osservatore superficiale della nostra realtà avrebbe tutti i motivi per pensarlo, ma basta soffermarsi a riflettere sul rapporto che i nostri contadini avevano con il lavoro per capire quanta poca acqua calda ci sia in questa affermazione: quello che per altri popoli era già diventato un diritto, se non ancora conquistato, comunque da conquistare, per i nostri contadini, ancora negli anni 50, era solo un privilegio concesso col contagocce e del quale bisognava comunque essere riconoscenti.

Se si capisce fino in fondo il ruolo giocato dalla mancata consapevolezza del proprio essere soggetti attivi della società, si può più facilmente comprendere il fenomeno logicamente conseguente della mancata valorizzazione di tutti prodotti della civiltà contadina. E’ del resto il fenomeno che ha portato alla scomparsa di tutte le forme di artigianato locale e al deterioramento dei valori sui quali si fondava la nostra cultura, che, solo perché diversa, è stata fatta scomparire a vantaggio di modelli estranei molto più comodi e alla moda. Che poi questo abbia prodotto la scomparsa delle poche attività economiche produttive a vantaggio delle cattedrali nel deserto di Gioia Tauro ieri, e di Crotone oggi, è solo frutto della mala sorte e non di un tentativo di colonizzazione ancora una volta ben riuscito portato avanti con l’aiuto di buona parte degli intellettuali meridionali e di una classe politica mediocre, con una visione strategica che, quando c’era, si limitava alla soluzione delle emergenze.