IL MATERIALE E L'IMMAGINARIO NELLA CULTURA DEL MARCHESATO CROTONESE

Di chi è una fotografia?

Una domanda tanto stupida quanto inutile, se non fosse per gli aspetti commerciali che sottendono alla domanda. La domanda tenda a confondere in modo opportunistico il concetto di autore con quello di possessore rendendo quasi obbligata la risposta. Teniamo presente che la stessa cosa avviene nel caso di un racconto, di una canzone, o di un quadro. In tutti questi casi la domanda corretta è : chi la scattata, chi l’ha scritto, chi l’ha composta, chi l’ha dipinto. Ad una prima lettura superficiale il fatto che qualcosa sia fatta, costruita o ideata da qualcuno la rende automaticamente di sua proprietà e quindi “farla” equivale a “possederla”. Ma se questa equivalenza può avere un senso per un bene materiale come un armadio o una casa ( ma anche in questo caso andrebbe distinto il bene in sé dalla sua particolare forma), lo stesso non si può affermare di un bene immateriale […]

E’… ma… non è!

E’ una frazione infinitesima di tempo quella che rimane impressa nell’immagine fotografica. E in questo consiste il suo fascino, la sua sacralità, il suo mistero. L’immagine rende vano l’eterno mutare del tempo, vive in una dimensione asincrona rispetto all’esistenza, congela la forma, la fa diventare altro. Non è quella che essa era. Non è quella che sarà. E’… ma… non è! E’ quello che il fotografo ha visto… Non sarà mai ciò che noi vediamo.

La forma e la parzilalità della sostanza

Le forme che i particolari assumono hanno senso solo per la prospettiva di chi le coglie. Non possono avere un senso comune… Sono solo una rappresentazione parziale e soggettiva di un contenuto universalmente riconosciuto. Voler dare un senso alla parzialità dello sguardo di ognuno è un tentativo ipocrita e presuntuoso di voler affermare una propria parziale verità. Non ha senso chiedersi cosa significano… ha senso solo chiedersi che cosa ti dicono, lasciandoti guidare dalle emozioni e facendo tacere la razionalità del conformismo.